Nel 2011 nasce l’Agenzia per la famiglia
della Provincia di Trento,
una struttura parallela agli
assessorati che risponde direttamente
al presidente della
Provincia. Alla guida dal 2011 c’è Luciano
Malfer, che spiega il funzionamento
e i buoni risultati delle politiche
familiari in questa parte della regione.
Qual è il vostro segreto?
«Non rimuoviamo un disagio, ma
quello che facciamo è sostenere un benessere.
Convinti che non è l’assistente
sociale che si occupa di politiche
familiari. E non c’è un assessore, ma
un’intera giunta al lavoro. Perché la famiglia
è una risorsa e non un problema
e bisogna leggere tutte le politiche
in maniera familiare. Questa chiave di
lettura il sociologo Pierpaolo Donati la
chiama family main streaming (“la famiglia
al centro della corrente”)».
La vostra forza sono i distretti per
la famiglia. Cosa sono?
«Sono 15 territori omogenei della
Provincia che mettono in campo, volontariamente,
quello che hanno per
favorire la famiglia e diventare Family
friendly. Hanno aderito ai vari distretti
sino a ora 100 organizzazioni (70%
private, 30% pubbliche). Si tratta di
Comuni, Asl, imprenditori, commercianti,
albergatori, aziende, cooperative
sociali, associazioni. Un pullulare di offerte che lavorano anche per lo sviluppo
locale. È una forma di politica a
costo zero perché non si investe denaro
pubblico e sono le organizzazioni
che vogliono farne parte. Lo slogan è:
“Lavoriamo sulle società di relazioni
invece che sulle società per azioni”».
Come si diventa Family friendly?
«È un marchio che diamo a chi rispetta
certi criteri. Per esempio a un ristorante
si chiede di attuare attenzioni
di vario tipo: una tariffa per le famiglie
numerose; la bibita gratis ai più piccoli;
sconti ai bambini il giorno del compleanno;
l’uso del seggiolone, gli spigoli
arrotondati sui tavoli per evitare
incidenti; il parcheggio per i passeggini;
i fasciatoi nei bagni di mamme e
papà; lo spazio per l’allattamento».
Cosa intendete, invece, quando
parlate di Family Audit?
«Nei distretti una delle iniziative
è l’idea di aggiungere alle tante certificazioni
quella sulla conciliazione
famiglia-lavoro. Siamo convinti che crei flessibilità e cultura aziendale.
Aumenta le opportunità per i dipendenti
e migliora le performance
dell’azienda. I dati confermano che le
190 aziende col marchio Family Audit
hanno dei ritorni economici evidenti,
come la riduzione dei permessi per la
malattia dei figli e la riduzione degli
straordinari».
Conta essere una Regione a statuto
speciale e avere tanti soldi?
«Assolutamente no. Non contano
i soldi. In queste politiche la
vera carta vincente è un modello di
gestione che concepisce la famiglia
come risorsa della società. Lo facciamo
da dieci anni con un’architettura
di politiche che prescinde dall’aspetto
economico. Nella logica classica si
distribuiscono assegni. Nella nostra
Provincia le cose non funzionano in
questo modo. E il modello devo dire
dà buoni risultati: abbiamo protocolli
con Regioni e Comuni per verificare
l’applicabilità in altri territori, come
la Sardegna, la Puglia e stiamo discutendo
i temi con il Dipartimento nazionale
sulla famiglia».