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martedì 15 ottobre 2024
 
Antisemitismo attorno e dentro gli stadi
 

Trionfi e caduta degli ebrei che fecero il calcio italiano

25/10/2017  Un libro del giornalista Adam Smulevich ("Presidenti", editore Giuntina) racconta le storie di Raffaele Jaffe, Giorgio Ascarelli e Renato Sacerdoti, tre dirigenti calcistici resi indesiderati dalle leggi razziali del fascismo

Chi dileggia gli ebrei negli stadi certamente ignora il  contributo dato al calcio italiano da tre personaggi che il giornalista Adam Smulevich ha il merito di raccontare nel libro “Presidenti”, pubblicato da Giuntina. Sono Raffaele Jaffe, Giorgio Ascarelli e Renato Sacerdoti, ebrei, presidenti e fondatori di squadre di calcio. Jaffe portò il Casale allo scudetto nel 1914, Ascarelli fondò il Napoli e Sacerdoti fu tra i fondatori della Roma.

Tutti e tre furono perseguitati dalle leggi razziali introdotte dal fascismo nel 1938. La pagarono cara anche Jaffe e Sacerdoti, nonostante la loro conversione al cristianesimo.

“Il filo conduttore del mio libro sono le conseguenze delle leggi razziali del 1938, che rimossero dalla consapevolezza della collettività le storie di tre personaggi così significativi”, spiega l’autore. Adam Smulevich, 32 anni, giornalista, lavora all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

 

Dei tre presidenti Jaffe è quello che che finisce peggio, sterminato ad Auschwitz, ormai anziano. Che personaggio era?

“Jaffe era una persona di grande spessore intellettuale, preside dell’Istituto tecnico più antico d’Italia. Pur convertito al cristianesimo nel 1937, Jaffe  viene messo ala porta dopo le leggi razziali. Egli continua a vivere a Casale insieme alla moglie Luigia, insegnante, alla quale nel 1940 tocca accogliere, immaginiamo con quale stai d’animo, il ministro dell’educazione di Mussolini, Giuseppe Bottai. Messo ai margini, nel febbraio del 1944 Jaffe viene arrestato dai fascisti, finisce in carcere, viene trasferito a Fossoli e infine sale sul treno per Auschwitz, dove già anziano viene subito ucciso”.

 

Quella di Giorgio Ascarelli invece è una dannazione postuma, vero?

“Esatto. Ascarelli padre del Napoli calcio e promotore di varie iniziative imprenditoriali e filantropiche, muore a 36 anni nel 1930 poche settimane dopo aver inaugurato lo stadio del Napoli. Era un stadio di proprietà, il che dimostra quanto fosse avanti con le sue intuizioni. La targa con il suo nome viene rimossa quando nel 1934, durante i mondiali di calcio che si svolgono in Italia, la nazionale tedesca gioca a Napoli. La Germania vince la finale per il terzo posto contro l’Austria ed è curioso che il miglior risultato calcistico della Nazionale tedesca negli anni della dittatura di Hitler sia ottenuto in uno stadio dedicato in origine a un ebreo, per giunta socialista. Comunque  diversi giornali dell’epoca, pubblicando il tabellino della partita, scrissero ancora ‘Stadio Ascarelli’”.

 

Non sfuggì alla persecuzione anche Renato Sacerdoti, il quale aveva anche aderito al fascismo. Come andò?

“Sacerdoti fu fu membro della milizia, un fascista della prima ora molto convinto, che partecipa alla marcia su Roma. Però con le leggi razziali anche lui, sia pure convertito al cristianesimo,  diventa un ebreo da allontanare da ogni incarico. Per diffamarlo viene costruita ad arte una violentissima campagna di stampa negli stessi giorni in cui le leggi razziali prendono la strada dell’ufficialità. Sacerdoti viene accusato di esportazione illecita di soldi in Francia, così viene mandato al confino per cinque anni. Eppure Sacedoti era popolarissimo, amatissimo a Roma, dove aveva fatto costruire il campo di calcio di Testaccio. Dopo  l’8 settembre 1943 Sacerdoti si nasconde in un convento travestito  da frate francescano. Poi negli anni ’50 torna nella dirigenza della Roma”.

 

Da esponente della comunità ebraica italiana come commenta le polemiche di questi giorni sull’antisemitismo nel mondo del calcio?

“L’antisemitismo attorno e dentro gli stadi non è un problema solo della comunità ebraica. Si tratta di offese al buon senso, a quelli che dovrebbero essere i valori di tutti. Il calcio è forse uno degli ultimi linguaggi universali, se non riesce a difendere certi valori, siamo perduti. Io credo che le società calcistiche possano fare molto di più”.

 

Come?

“Da un lato con la repressione. Abbiamo visto che certi personaggi delle curve si possono facilmente individuare, ora si tratta di non farli più entrare in uno stadio. Poi serve un lavoro comune per avere un calcio che torni ad essere altro, in cui le famiglie ritrovino la voglia di andare allo stadio”.

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