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Tristezza, la tirannia dell'umore

27/12/2012  Non rincorrere inutilmente il passato, non sognare un futuro improbabile, ma vicvere bene il presente. Le riflessioni di Enzo Bianchi. E i volti dell'arte, da Giotto a Picasso. A Dalì.

Ripiegarsi su sé stessi guardando con nostalgia al passato. Oppure vivere illudendosi che nel futuro, domani, magari più avanti ancora, qualcosa cambierà. È questa la grande menzogna che genera quella pericolosa tristezza che, come sottolinea in questo nuovo appuntamento con i vizi capitali Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, è un rapporto deformato con il tempo. L’immagine che più rende l’idea è forse quella degli Orologi molli di Salvador Dalí (1931), in cui il quadrante, le lancette e i numeri paiono liquefarsi e perdere consistenza.La tristezza è anche una piaga sociale,la porta lasciata aperta da cui può entrare la depressione, uno tra i mali oggi più diffusi.

Uno dei pittori più emblematici del Novecento, il norvegese Edvard Munch, un anno prima di dipingere l’angoscia esistenziale che lo soffocava nel suo famoso Urlo (1893), nell’opera Malinconia (1892), nella Galleria nazionale di Oslo, esprime il sentimento piùsfumato della tristezza, mentre in Chiaro di luna (1895) l’angoscia di Munch si fa domanda di un senso da dare alla vita, come in Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi: «Che fai tu, luna, in ciel?dimmi, che fai, silenziosa luna?».

L’incapacità di vivere il presente e di apprezzarlo con i suoi limiti e contraddizioni genera insoddisfazione, tristezza, lamento. Fino a nutrirei n noi sentimenti peggiori come l’invidia e la gelosia verso chi, apparentemente, sta meglio di noi. Tra le allegorie femminili dei vizi capitali che Giotto affresca a Padova sulle pareti della cappella degli Scrovegni (1303-1305) l’invidia è una donna: un serpente esce dalla sua bocca e le si rivolta contro, mentre le fiamme del desiderio delle cose altrui la divorano.

L’invidia e la tristezza pervadono tante storie della Bibbia. L’arte ci racconta la storia di Giuseppe venduto dai fratelli invidiosi per i suoi sogni, in cui egli appare il prescelto da Dio e dal padre Giacobbe.La tristezza ha tante sfumature. Può essere buona o cattiva. Può essere un verme che ci rode il cuore come scrive nel VI secolo un padre del deserto come Evagrio Pontico; ma può anche essere santa e provocare lacrime di conversione, quel dono di piangere i nostri peccati che è fonte di beatitudine. Anche i santi hanno provato tristezza. Hieronymus Bosch nel suo San Giovanni Battista in meditazione(1489) ci mostra il cugino di Gesù, il precursore, l’ultimo dei profeti, l’uomo del deserto e della solitudine, mentre giace prostrato in un paesaggio allucinato e pieno di simboli inquietanti, come uno strano fiore che ricorda tanto I fiori del male di Baudelaire.

C’è un’ora particolare per la tristezza, ed è la notte. Anche Gesù è stato preso da una tristezza mortale nel Getsemani, come ci mostra Paul Gauguin nel suo bellissimo Cristo dai capelli rossi (1889), in cui l’artista ritrae sé stesso. Pablo Picasso nella Bevitrice di assenzio (1901) esprime, come in tutti i suoi quadri del periodo blu, malinconia, tristezza e nostalgia. Note di una musica che suona apparentemente fuori luogo nella spensierata Parigi. Eppure, prima di lui Edgar Degas e Toulouse Lautrec hanno affrontato lo stesso tema per sottolineare l’abbruttimento fisico e morale dell’uomo moderno, la sua infinita tristezza e insoddisfazione.

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