Il candidato democratico Joe Biden (foto Reuters).
(Foto Reuters sopra: Donald Trump alla convention repubblicana)
Le convention del Partito Democratico e del Partito Repubblicano servirebbero, in teoria, a consacrare il candidato chiamato a correre per la presidenza. Nella realtà, si risolvono in grandi e fragorosi spot elettorali, con mogli da Mulino Bianco, figli affettuosi o incattiviti contro i nemici di papà, collaboratori che cantano le lodi del principale e così via. Bisogna a questo punto chiedersi, allora, perché lo spot di Donald Trump sembra aver reso di più di quello di Joe Biden. Non lo diciamo noi, lo dicono i sondaggi: i due sono, oggi, praticamente testa e testa, mentre poche settimane fa Biden veniva accreditato di un vantaggio compreso tra gli 8 i 12 punti sul rivale. Il democratico sperava di sfruttare la grancassa della convention per aumentare il proprio vantaggio. È successo esattamente il contrario.
Un po' c’entrano le personalità dei candidati. Biden è una figura pallida, fatta per piacere a tutti e a nessuno. Ha un’esperienza politica ultraquarantennale e solidi agganci nel Partito Democratico ma non molto di più. Negli otto anni trascorsi alla Casa Bianca come vice di Barack Obama si è distinto soprattutto per le gaffe. Donald Trump, al contrario, è la figura più divisiva che si possa immaginare. È arrivato alla Casa Bianca come estraneo alla grande politica e ancora oggi molti, nel Partito Repubblicano, lo sopportano solo perché non hanno alternative. Fino a marzo tutte le analisi più serie lo davano per riconfermato alla Casa Bianca, in forza degli ottimi risultati ottenuti in economia. L’autorevole sito Politico, comparando i dati sull’occupazione, la crescita del Pil e l’aumento dei salari, prevedeva per lui addirittura una “vittoria a valanga” (https://www.politico.com/story/2019/03/21/trump-economy-election-1230495).
Poi il primo colpo di scena: il Covid 19. L’economia Usa è crollata (Pil giù del 32,9%, esportazioni giù del 25%), la disoccupazione è schizzata alle stelle (quasi al 15% in maggio), il virus ha fatto strage (quasi 6 milioni di contagiati e oltre 180 mila morti) e, soprattutto, Trump ha infilato una dichiarazione demenziale dietro l’altra, mostrando una confusione e una debolezza incredibili per un leader che, dopotutto, è anche il comandante in capo delle forze armate.
È stata quella la fase in cui Biden ha capitalizzato sul consenso. Se non che, è arrivato il secondo colpo di scena: l’uccisione di George Floyd, a Minneapolis, da parte di un poliziotto che per nove minuti gli ha premuto un ginocchio sulla gola. Un fatto che, in apparenza, avrebbe dovuto nuocere al Presidente in carica. Per sua (politicamente parlando) fortuna, il legittimo movimento di protesta contro le violenze della polizia ha generato anche disordini anche molto violenti, che hanno consentito a Trump una duplice operazione: mettere sotto accusa le amministrazioni locali rette dai democratici (gli americani sanno bene che le forze di polizia dipendono dai governatori e dai sindaci) e lanciare una campagna “legge e ordine” che fa risuonare corde importanti, anche se poco rassicuranti, nell’America profonda e nell’elettorato bianco.
Biden qui ha tentennato, cercando di accontentare tutti. Ha criticato la polizia ma si è detto contrario al taglio dei fondi per le forze dell’ordine caldeggiato dal movimento “Black lives matter”. Ha messo il ginocchio a terra, nel classico gesto della protesta anti-razzismo, ma non ha osato schierarsi fino in fondo con chi scendeva in piazza. In più, e proprio alla luce di quanto andava succedendo nelle diverse città dopo la morte violenta di altri afroamericani per mano della polizia, è affiorato qualche dubbio sulla strategia della sua campagna elettorale. La figura di Barack Obama, diventato il vero segretario politico del Partito Democratico, non sarà troppo ingombrante, al punto da fargli ombra e da farlo sembrare sotto tutela? La scelta di Kamala Harris come eventuale vice presidente, non rivela che Biden (77 anni) già vede sé stesso come il Presidente di un solo mandato, pronto nel 2024 a lanciare verso la Casa Bianca una donna di colore, con un tasso di novità che una certa America bianca e razzista non potrebbe accettare?
È chiaro che stiamo parlando di pugilato politico, di tecniche per mettere al tappeto l’avversario, non certo di ideali. D’altra parte, finora abbiamo sentito soprattutto dire che Biden è un comunista e Trump il distruttore della democrazia, il livello è quello. L’impressione è che da qui a novembre la storia sarà ancora lunga, ricca di colpi di scena e soprattutto di colpi bassi. E che a farla da padrona, alla fin fine, sarà come sempre l’economia. Se Trump, anche a costo di sottostimare il pericolo Covid e di sfondare ogni tetto al debito pubblico, riuscirà a rimettere in moto la macchina produttiva americana (potrebbe riuscirci: a maggio sono stati creati 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro, a giugno 4,5), per Biden sarà durissima. Il candidato democratico, però, ha una fortuna: che il suo avversario è appunto Trump. Prima del voto (3 novembre) chissà che cosa potrebbe ancora fare o dire.