Forse non era esagerata quella copertina del settimanale tedesco Der Spiegel che nel novembre scorso, dopo la vittoria elettorale di Trump, raffigurò il nuovo presidente degli Stati Uniti lanciato come un meteorite contro la Terra. Nei primi nove giorni alla Casa Bianca Trump ha già dato una scossa al mondo scatenando una reazione planetaria che non si vedeva da anni nei confronti degli Stati Uniti.
Anche se in realtà, quello che sta accadendo è un terremoto ampiamente annunciato. Fin qui, infatti, Trump è passato all’azione su due temi che erano stati suoi cavalli di battaglia durante la campagna elettorale: il controllo della migrazione dal Messico con la costruzione di un muro (da far pagare ai messicani) e le restrizioni all’ingresso negli Stati Uniti di cittadini provenienti da paesi musulmani.
Gli ordini esecutivi (cioè decisioni che entrano in vigore dal momento della firma del presidente , senza l’approvazione del Congresso) firmati da Trump per bloccare e e limitare l’immigrazione da sette paesi islamici hanno provocato proteste in molte città degli Stati Uniti, soprattuto davanti agli aeroporti dove molti viaggiatori dai paesi incriminasti sono rimasti bloccati per ore, prima di essere rilasciati. Migliaia di manifestanti hanno bloccato il traffico davanti all’aeroporto di Los Angeles, mostrando cartelli con la scritta “Vergogna”.
Contro gli ordini esecutivi di Trump si sono espressi i sindaci di grandi città come New York, Chicago, Boston e Dallas. Mike Rawlings, il sindaco di Dallas, ha fatto personalmente le sue scuse “dal profondo del cuore” a quattro passeggeri che erano stati bloccati in aeroporto.
Nel Regno Unito, un milione e 300 mila persone hanno firmato una petizione per chiedere di annullare l’invito che il primo ministro Theresa May ha fatto a Trump “da parte della Regina”, durante la sua recente visita a Washington. Oggi si svolgono manifestazioni di protesta in decine di città della Gran Bretagna. Se mai si farà in tempi brevi, la visita di Trump in Gran Bretagna non si svolgerà in un clima pacifico.
Prese di distanza dalle decisioni di Trump (anche se nei loro comunicati e tweet il presidente americano non è mai citato direttamente) sono arrivate da Angela Merkel, da Paolo Gentiloni, da François Hollande, dal ministro degli esteri britannico Boris Johnson, dal premier canadese Justin Trudeau, dall’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu (il giordano Zeid Raad Al Hussein), dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.
Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, accusa Trump di aver preso “una decisione agghiacciante che potrebbe avere conseguenze catastrofiche”. Due senatori repubblicani di spicco come John McCain e Lindsey Graham hanno firmato insieme un comunicato in cui esprimono il timore che l’ordine esecutivo di Trump, giustificato dalla necessità di proteggere l’America, in realtà possa favorire il reclutamento di nuovi terroristi. I Procuratoir generali di 16 stati americani ritengono che le decisioni di Trump siano anticostituzionali.
Il New York Times, un giornale sempre duro nei confronti di Trump, fa notare in un editoriale che nella lista nera del presidente mancano Paesi potenzialmente molto pericolosi per la sicurezza nazionale (come l’Arabia Saudita, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti), nei quali tuttavia l’imprenditore Trump ha interessi economici. Per il New York Times, “stiamo assistendo alle devastanti conseguenza di questo conflitto di interessi”. Gran parte degli attentatori dell’ 11 settembre 2001 venivano proprio dall’Arabia Saudita.