Ventisei minuti dopo le 15 due bare in legno chiaro sostano sul sagrato di una chiesa e il silenzio cala su Portici. Una cappa di dolore, lutto ma a tratti vergogna. Perché quello che è successo è così atroce da coinvolgere emotivamente chiunque guardi le foto di Tullio Pagliaro e Giuseppe Fusella. Due studenti, due amici crivellati dai proiettili esplosi da un uomo che li aveva scambiati per ladri. Uccisi la notte del 29 ottobre.
La chiesa di San Ciro, il santo patrono di Portici, è gremita. Dalla strada parte un applauso. Dalla navata, invece, si leva il suono straziante del pianto di chi amava Tullio e Giuseppe. Urla e dolore vengono tenuti lontani dai riflettori della stampa che resta accalcata sul sagrato. «E' un giorno di dolore che viviamo affianco alle famiglie e agli amici di Tullio e Giuseppe, un'intera comunità oggi ha deciso fortemente di stringersi attorno alle famiglie e a questo dolore. Saremo al loro fianco e interamente protesi ad avere giustizia».
Vincenzo Cuomo, sindaco di Portici: «Vogliamo giustizia. 11 colpi di arma da fuoco sono uno scenario di guerra, non uno scenario di un centro urbano»
Così, con occhi umidi, ha parlato Vincenzo Cuomo, sindaco del comune alle porte di Napoli. Davanti alla chiesa di San Ciro la luce che filtrata dalle nuvole di un temporale sembra riflettere e rendere ancora più intenso il bianco dei fiori e delle corone. «La nostra richiesta di giustizia non è una richiesta di rabbia – ha detto il sindaco Cuomo - ma è una richiesta serena di chi pensa che uno Stato di diritto debba garantire giustizia alle vittime innocenti con pene certe e severe, proporzionate ai reati che vengono commessi. Solo con una serena ricerca di giustizia noi costruiamo una coesione sociale nelle nostre comunità. Questi omicidi, questi delitti, queste cose brutte disgregano alle fondamenta la coesione sociale, la minano. Da padre nessuno può pensare che un figlio esca la sera e vada in uno scenario di guerra, perché 11 colpi di arma da fuoco sono uno scenario di guerra, non uno scenario di un centro urbano». La gente porta le mani agli occhi per asciugare via le lacrime. Chi è in strada usa la mascherina anche per coprire smorfie di dolore e dispiacere. Dai balconi c'è chi assiste inerme al lutto, chi prega. «È il giorno del silenzio, di un silenzio duro che custodisce i volti di Tullio e Giuseppe».
L'esortazione di don Mimmo Battaglia "a mettere la vostra energia, la vostra bellezza, la bellezza dei vostri animi al servizio di una città da vivere"
L'arcivescovo metropolita di Napoli posa lo sguardo sui genitori delle vittime. Lo fa davanti a due feretri ricoperti dei fiori più belli mentre le sue mani giunte sembrano desiderare di stringere i volti di quelle madri in lacrime. Madri, donne e mogli le cui vite sono state devastate da una tragedia. Nelle scorse ore un'altra donna, la compagna del camionista arrestato per il duplice omicidio, ha parlato con sofferenza. Con la voce rotta dal pianto ha chiesto perdono. Come moglie e come madre. Alle 16, quasi a voler accompagnare il lutto di una comunità intera, il cielo torna a piangere e il rumore della pioggia copre il brusìo di voci sul sagrato.
Quando l’arcivescovo Mimmo Battaglia invita a raccogliersi in preghiera dopo l'omelia dalla strada un raggio di luce taglia le nuvole grigie e sembra voler illuminare di speranza e pace i cuori di chi sta soffrendo per la morte di Tullio e Giuseppe. «Io non vi conoscevo, Tullio e Giuseppe, ma in questo momento mi sento più che mai vicino a voi». Le parole di Battaglia suonano come abbracci per chi soffre «rifuggite da qualsiasi tipo di violenza - dice ai fedeli, a tutta la comunità - vi invito a mettere la vostra energia, la vostra bellezza, la bellezza dei vostri animi al servizio di una città da vivere». Il riferimento è anche al progetto tanto voluto dal vescovo Battaglia, sul recupero dei giovani e la rinascita sociale.
Giovani che oggi in chiesa restano impietriti e in silenzio. «È lo stesso silenzio del Venerdì Santo. È lo stesso dolore di Maria in piedi sotto la croce del figlio – spiega l’arcivescovo Battaglia nella sua omelia - Ci capita a volte di chiederci dov’è Dio, dov’è Gesù quando il pianto degli umani sembra sfondare il nostro cuore. Non credo di essere lontano dal vero, se oso pensare che Gesù sia sulla strada e che pianga, pianga con noi. Si, oggi piange con noi l’insensatezza di questa morte, piange con noi per la fine terrena che una mano umana ha riservato a Tullio e Giuseppe, piange con noi per le famiglie che hanno perso un figlio e anche per quella che è stata improvvisamente sfasciata dalla violenza atroce di chi ha ucciso».
L'arcivescovo di Napoli alza lo sguardo e con parole decise si rivolge agli amici delle vittime. «A voi ragazzi, giovani, amici di Giuseppe e Tullio, compagni e spettatori privilegiati della loro breve vita: comprendo la vostra incredulità nutrita dal dolore e dalla rabbia. Avete appreso brutalmente della morte violenta dei vostri amici e sapete bene che questa vicenda rimarrà indelebile nella vostra memoria: potrà sembrarvi assurdo, ma mi auguro e vi auguro che proprio questo dolore possa guidarvi nella ricerca di nuovi significati. Quasi come un ultimo regalo, un’eredità che i vostri amici quest’oggi vi lasciano».
Poi un appello rivolto alla comunità «Vorrei tanto che si spegnessero i riflettori su questa vicenda per rispettare il dolore, mentre mi auguro che si accendano altre luci su una città che diventa comunità e si interroga sui bisogni dei propri figli e sulla necessità di includere le energie di cui sono portatori nella costruzione di un mondo di cui sentirsi parte.
Prego per voi mamma Rosaria, mamma Imma, papà Oreste e papà Sandro e per i vostri figli che nel pianto vi stanno accanto, e con voi prego anche per tutte le famiglie che in questo momento vivono il dolore assurdo della morte di un figlio. È proprio questo dolore che dovrebbe farci riflettere su quei momenti irreversibili che ci cambiano per sempre. Prego perché il Signore vi consoli e vi sostenga in questo dolore, purificandolo dalla rabbia e dalla disperazione».
Trentacinque minuti dopo le 16 i rintocchi a lutto del campanile di San Ciro segnano l'uscita delle bare. Il silenzio viene squarciato ancora una volta dal pianto e dal dolore. Ma anche dal battito di mano. Mani che si stringono, che fanno rumore, che vorrebbero abbracciare Tullio e Giuseppe. Come quelle dell’arcivescovo Domenico Battaglia, che con tenerezza ha appoggiato i palmi sulle bare candide dei due giovani. Davanti ai feretri uno striscione “I due giovani sono diventati santi per mano di un malvagio ma resteranno sempre nei nostri cuori”. E poi un canto, come a voler accompagnare i due amici che nell'immaginario e nella speranza dei fedeli diventano palloncini bianchi da fare volare in cielo. Quel cielo che adesso sembra schiarirsi e illuminarsi. Come il sorriso di Tullio e Giuseppe, amici per sempre. Giovani per sempre.
(immagine in testata: ANSA)