Il 14 gennaio di 7 anni fa il presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Ali fuggiva precipitosamente da Tunisi verso l’esilio. Dopo tre settimane di proteste quello fu il culmine della rivoluzione tunisina, che segnò l’inizio delle “primavere arabe” del 2011.
Sette anni dopo la caduta di Ben Ali (che si gode gli agi nel suo dorato esilio saudita), i tunisini sono scesi nuovamente in strada. Ma questa volta non per festeggiare l’anniversario. Oggi i tunisini protestano contro l’austerità e gridano la loro rabbia per una situazione economica sempre più pesante. Le manifestazioni sono cominciate l’8 gennaio in varie città e subito hanno preso una piega violenta. A Tebourba, 30 chilometri a ovest di Tunisi, gli scontri fra i manifestanti e la polizia hanno provocato la morte di un uomo di 40 anni. In tutta la Tunisia si contano decine di feriti e la rabbia ha spinto i manifestanti a saccheggiare negozi e supermercati. Vi sono stati anche blocchi stradali e in alcune località sono state incendiate le caserme di polizia. Oltre 700 persone sono state arrestate.
Il primo ministro Youssef Chahed ha definito “vandali” i manifestanti, ma ha dovuto ammettere che la Tunisia sta vivendo delle “difficoltà”.
Il movimento di protesta è stato innescato dalla legge finanziaria che dal 1° gennaio ha stabilito un aumento dell’imposta sul valore aggiunto (più 1 per cento) e l’introduzione di nuove tasse. È aumentato il prezzo di alcuni beni di lusso, ma costano di più anche alcuni generi di prima necessità, comprese le tessere telefoniche.
I dati economici mostrano un paese in affanno. L’inflazione ha raggiunto il 6 per cento, dal 2011 il dinaro si è svalutato del 40 per cento rispetto al dollaro, il tasso di disoccupazione è intorno al 15 per cento (ma è il doppio per quanto riguarda i giovani), il salario minimo di 160 euro rende la vita difficile a troppe famiglie. Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto un intervento di aiuto del valore di quasi 3 miliardi di dollari, che però è stato congelato a causa delle lentezza con cui vengono portate avanti le riforme economiche. E le riforme strutturali imposte dal FMI spingono il governo a prendere decisioni impopolari.
Già nel 2016 e nel 2017 i tunisini hanno espresso il loro malcontento. La situazione economica e sociale si sta degradando e il processo democratico virtuoso avviato dopo la rivoluzione (premiato anche con il Nobel per la pace) non ha ancora inciso sul sistema economico dell’epoca di Ben Ali.
Questa volta il movimento di protesta è più ampio rispetto a quello visto negli ultimi due anni, coinvolge le città più impoverite dell’interno, alcune città costiere e anche le periferie popolari di Tunisi. È un campanello di allarme per le istituzioni politiche tunisine, che devono trovare risposte al malcontento. Le rivoluzioni tradite non portano mai nulla di buono.