A pochi giorni dalle elezioni politiche anticipate in Turchia, il giro di vite governativo contro la libertà dei mezzi di comunicazione si fa sempre più stretto. Le autorità hanno messo il bavaglio al gruppo editoriale turco Ipek, accusato di essere ostile al presidente Erdogan e di avere contatti con la rete di Fethullah Gülen, oppositore numero uno del capo di Stato. Prima, l'oscuramento di due canali televisivi, Bugun Tv e Kanalturk, ora lo stop alla pubblicazione di due quotidiani, Bugun e Millet. La po9lizia ha fatto irruzione nella sede del gruppo, fatto evacuare i giornalisti e insediato i nuovi amministratori che dovranno sostituire l'attuale gestione.
Magnate e imam residente negli Stati Uniti dal 1999, un tempo alleato di Erdogan, oggi Gülen è suo acerrimo nemico. Accusato di organizzare falsi scoop per rovesciare il presidente e di aver creato all'interno della Turchia una sorta di "Stato parallelo" attraverso una rete di infiltrati nella polizia, nella burocrazia e nella magistratura, è stato inserito nella lista dei terroristi più ricercati. La censura dei media è stata denunciata dall'organizzazione Human Rights Watch, che critica le misure governative, volte a reprimere e silenziare tutte le voci dell'opposizione.
Il 1° novembre i turchi sono chiamati al voto, ma il clima che si respira è molto teso. «I turchi sono arrabbiati, nelle città ci sono forti proteste contro l'autoritarismo del Governo e del presidente, ma il problema è che i cittadini sono troppo deboli rispetto al potere centrale». Merve ha 44 anni e vive ad Ankara. Ha studiato Letteratura e Lingue straniere, è un'intellettuale, ma non vuole rivelare di più di sé stessa perché ha paura, teme le ritorsioni che può subire per il fatto di criticare le autorità e la politica del suo Paese. «Prima la Turchia era un Paese moderno e democratico. Adesso non lo è più. Viviamo continuamente restrizioni alle nostre libertà, non possiamo esprimere la nostra opinione, la stampa è controllata. Il cambiamento è avvenuto gradualmente, soprattutto negli ultimi tre anni».
Nelle città, spiega Merve, la gente è stanca, protesta. Con il voto avrebbe l'opportunità di cambiare le cose, invertire la rotta. «Ma il problema è che la maggior parte dei cittadini non crede più nelle elezioni perché pensa che comunque il voto sarà inquinato dai brogli. Non ci fidiamo del presidente e del Governo. Tantissimi turchi intorno a me progettano di andare via, di emigrare, perché non vogliono vivere in un Paese conservatore che sta diventando sempre di più come l'Iran. La vita è molto dura adesso qui e non si intravede una speranza. Il futuro per noi è sempre più nero».
(foto Reuters)