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venerdì 04 ottobre 2024
 
la guerra
 

Negoziati russo-ucraini in Turchia: la pace nelle mani del sultano Erdogan

03/04/2022  L'abile presidente turco ha adottato un atteggiamento di difficile equilibrio fra Kyiv e Mosca, riportando il suo Paese nella posizione di protagonista assoluto della scena internazionale, dopo un lungo periodo di isolamento. E adesso rilancia l'idea delle trattative per l'ingresso di Ankara nell'Unione europea. L'analisi di Marco Ansaldo da Istanbul

Le delegazioni ucraina e russa al tavolo del negoziati a Istanbul il 29 marzo (foto Reuters).
Le delegazioni ucraina e russa al tavolo del negoziati a Istanbul il 29 marzo (foto Reuters).

di Marco Ansaldo, da Istanbul

 

I negoziati sulla guerra russo-ucraina ospitati in Turchia, prima ad Antalya e poi a Istanbul. Presto, forse, nella stessa metropoli sul Bosforo l’organizzazione di un vertice fra Putin e Zelensky. Ora, anche, la mediazione sul gas che comincia a mancare all’Europa, facendolo arrivare via Anatolia da Israele. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è, in maniera del tutto inattesa, il leader politico che tratta a tutto campo. Siamo, davvero e sempre di più, nelle mani del Sultano. Chi l’avrebbe detto?

   Eppure questo è uno degli effetti, oggi anzi un elemento fondamentale se si vuole raggiungere la pace, da registrare nel primo conflitto scoppiato dopo la fine della Seconda guerra mondiale nel cuore dell’Europa. Con la Turchia erede dell’Impero ottomano che torna a essere, sotto la guida del suo capo, un protagonista assoluto sul piano internazionale. «Per noi», spiega Erdogan senza remore, «questa è una grande opportunità». Ha perfettamente ragione. Al punto da cogliere in pieno il momento favorevole, e a modificare gli assiomi che hanno caratterizzato gli ultimi anni della diplomazia di Ankara.

   Qualche esempio. I vecchi nemici? Oggi con loro si dialoga. Ecco allora aperture inaspettate – fino a ieri - con Israele, con l’Egitto, gli Emirati Arabi, e l’Arabia Saudita dell’omicidio del giornalista Khashoggi. Tutti Paesi sino a poco tempo fa considerati alla stregua di avversari, e con i quali le relazioni erano arrivate ai minimi termini. Ancora. L’Unione Europea, che aveva congelato i capitoli negoziali sull’eventuale ingresso di Ankara? La nuova Turchia adesso rilancia l’idea delle trattative sulla propria ammissione al club, come membro a pieno titolo. E gli Stati Uniti? Pure qui, incoraggianti aperture in vista di un dialogo sempre più rafforzato con Joseph Biden o con chi verrà dopo di lui.

   Sorprendente? Per nulla. Quel furbone di Erdogan – forse il leader politico più cinico e più abile dei primi vent’anni del Millennio - ha capito che l’isolamento, come quello in cui era finito il suo Paese, alla lunga non paga. I nodi erano diventati tanti, troppi. La vicinanza scomoda a Vladimir Putin. Gli innumerevoli dissapori con i leader europei. La contrapposizione continua con i potenti vicini mediorientali. L’ostilità alla nuova amministrazione americana. Tutti fattori di negatività che avevano portato un Paese chiave come quello anatolico a diventare un elemento di imbarazzo nelle cancellerie. In più da tempo la Turchia soffre di una gravissima crisi economica che rischia di spodestare, dopo venti anni di partito conservatore di ispirazione religiosa al potere (fondato da Erdogan), lo stesso leader dal vertice istituzionale.

Nel 2023, centesimo anno della nascita della Repubblica di Turchia, si terranno elezioni presidenziali, politiche e amministrative. È un appuntamento decisivo per il Paese. Ed Erdogan, a leggere i sondaggi, rischia per la prima volta di perdere. L’opposizione, per la prima volta, è interamente schierata contro di lui per i tanti errori che gli vengono imputati, fra cui l’insofferenza verso i media indipendenti, e le difficoltà in cui versano minoranze etniche come quella curda, e pure religiose come per l’ormai sparuta comunità cattolica. Così il leader turco, di cui tutto si può dire tranne che sia uno sprovveduto, ha capito al volo. E compreso che, realmente, il momento di cambiare il passo era arrivato.

   Ecco il perché delle sue parole: “Questa per noi è un’opportunità”. L’abilità e il cinismo di Erdogan hanno pochi paragoni fra i politici del mondo. Su Russia e Ucraina la Turchia ha adottato una posizione che la mantiene in un difficile equilibrio acrobatico. I rapporti con Mosca sono eccellenti: dopo l’abbattimento da parte dell’aviazione turca del Sukhoi russo sulla Siria nel 2015, Putin invece di scatenare la guerra contro Ankara (come sembrava in un primo momento) ha perdonato Erdogan (prontamente volato a San Pietroburgo per profondersi in imbarazzati “mi dispiace”), decidendo di tenerselo invece come alleato. Da lì è nata la cosiddetta “collaborazione competitiva” fra Russia e Turchia su tutti gli scacchieri più importanti: in Libia, dove entrambe si spartiscono Cirenaica e Tripolitania; in Siria, dove assieme pattugliano le zone di frontiera dalle quali l’esercito turco ha cacciato i curdi; nel Nagorno Karabakh, controllato per lo più dagli azeri filo-turchi ai quali la Russia ha lasciato mani libere mollando gli armeni. Di contro, Mosca spedisce milioni di turisti sulle azzurre coste turche, e vende ad Ankara i propri sistemi antimissile che la Turchia vuole piazzare – scenario incredibile - nella base Nato di Incirlik. Il che significa che i tecnici russi potrebbero varcare i cancelli di un’installazione dell’Alleanza atlantica.

   L’astuto Erdogan però bilancia il suo agire ardito vendendo i droni di famiglia - che appartengono all’azienda del genero, gli ormai celebri Bayraktar a cui in Ucraina ora vengono dedicate canzoni - a Kiev, perché possa resistere all’offensiva russa. Invita poi nella capitale turca Volodymyr Zelensky, che in visita ufficiale ha definito un “amico”. E contemporaneamente parla quasi tutti i giorni al telefono con Vladimir Putin. Chiede inoltre al proprio, bravissimo ministro degli Esteri, il fedele e coraggioso Mevlut Cavusoglu, di mediare ad Antalya un primo incontro fra le parti. E va a inaugurare lui stesso al Palazzo del Dolmabahce a Istanbul, dove visse negli ultimi anni Mustafa Kemal, cioè Ataturk, il fondatore della Turchia moderna, il nuovo round di colloqui fra la delegazione russa in giacca e cravatta e quella ucraina in mimetica verde. Ora preme per portare in Turchia i due big a confronto, Putin e Zelensky. Se al sultano riesce il colpo di fargli stringere le mani, con la sua fra quelle dei belligeranti, chi potrà più negare a Erdogan la patente di “uomo di pace”?

(Foto Reuters in alto: Il presidente Erdogan al summit della Nato a Bruxelles il 24 marzo)

 
 
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