Annuncia e vive il Vangelo attraverso il linguaggio dell'eleganza. La Turris Eburnea getta radici in una fulminante battuta rivolta da papa Pio XI al cardinale Maurilio Fossati, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale: «Mi dica eminenza, a Torino, capitale della moda, che cosa si fa in questo campo?». Il tempo di tornare in diocesi e l'arcivescovo nomina un giovane prete, don Michele Peyron, “cappellano degli ateliers e delle sfilate”.
L'associazione nasce ufficialmente nel 1941. Si chiama Turris Eburnea (Torre d'avorio, in latino): un voluto richiamo al linguaggio biblico del Cantico dei Cantici e le litanie mariane. Don Peyron invita le indossatrici a meditare ogni giorno. «E’ la meditazione che fa i santi. Se la donna non è un po’ come la Madonna – ripete più volte don Peyron – non è sulla strada giusta». Questo è un modello di femminilità, di purezza, di bellezza, caratteristiche che Dio mette nel cuore di ogni donna. Don Peyron partiva dall’ umano, dal concreto., dalla vita reale. «Quel ragazzo che ti ammira – diceva don Peyron - sappi che è importante conoscerlo a fondo».
Suscita sorpresa scoprire che tra il finire degli anni Trenta e gli anni
Quaranta, la Chiesa si facesse carico di un mondo apparentemente così
distante come quello della moda, a una lettura superficiale solo
apparenza e seduzione. «L'originalità sta proprio qui – riflette Maddalena d’ Osasco, attuale animatrice della Turris Eburnea
-, nel fatto che a Pio XI stesse a cuore anche quest’ambito della vita,
a prima vista lontano, insidioso. Il fatto che avesse chiesto al
cardinale Fossati come si potesse fare per avvicinare questo ambiente,
dimostra una sua profonda attenzione ai tempi. Don Peyron, dal canto
suo, era appena stato ordinato sacerdote, era molto giovane ma non
sprovveduto, aveva alle spalle robusti studi in giurisprudenza, era
capace. Andava negli ateliers e cercava di dialogare con le indossatrici
per far capire che la bellezza è un dono di Dio. Destinata a sfiorire,
era importante guardassero anche i valori interiori. Il rischio del
vivere per la bellezza era quello di essere superficiali anche nel
costruire le relazioni con i ragazzi. "Ricordatevi – diceva- che l’
amore vero è fatto di stima, rispetto, sacrificio. Se un ragazzo non sa
fare un sacrificio per te, vuol dire che non ti ama". Negli ateliers,
quando andava, cercava di mettersi d’accordo con le sartorie per
incontrare le ragazze che erano lì come indossatrici per far capire che
la bellezza ha grande fascino ma è qualcosa di cui servirsi per il bene,
senza dare illusioni. E’ un qualcosa di molto fragile ma è un talento
al servizio di Dio».
Come descrive don Peyron l’ inizio negli ateliers?
«Sapeva di svolgere compiti delicati e più grandi di lui. Aveva sempre
la consapevolezza e l’ umiltà di chiedere allo spirito santo di saggiare
cosa dire, quella parola, quell’ altra parola. Aveva chiesto nel suo
sacerdozio il dono di saper dire la parola giusta alle persone che
avrebbe incontrato .Arrivava alla preghiera ma la prima cosa era
costruire l’ umano, l’ equilibrio, la sapienza pratica, etica, l’ invito
al non giocare con i sentimenti ma vivere in vista di una famiglia,
come missione. Nel pieno della II guerra mondiale, tra bombardamenti e
incursioni aeree, Turris Eburnea, continua la sua attività tra i
pericoli e successivamente anche negli anni della Resistenza».
Cosa ricorda don Peyron di quegli anni?
«Seguiva semplicemente il messaggio evangelico verso le persone deboli.
Questo dimostra la fede, il coraggio, l’ audacia di questo sacerdote in
tempi di guerra., come lo spirito santo lo spingesse a non perdere le
occasioni per portare avanti queste missioni. Nel frattempo era anche
insegnante e “ cappellano del lavoro”: entrava nelle fabbriche, cercava
il contatto diretto con gli operai».
Come è nato in don Peyron il progetto dei viaggi?
«E’ interessante il suo instancabile girare nel mondo per portare questa
“parola giusta” sull’ idea di donna, di amore, di famiglia. Desiderava
andare in Cina, un modo per arrivare là dove la Chiesa non aveva
possibilità di andare. La strategia era il farlo attraverso un evento
che invece è stato molto capito, molto accolto, la sfilata di moda. Don
Peyron era intervenuto dicendo in positivo tutto quello che Turris
Eburnea aveva imparato dalla cultura cinese : “Siamo venuti qui anche
per imparare e ci avete insegnato molto'. In tanti paesi mussulmani o
protestanti Turris Eburnea dialogava su ciò che accomuna tutti gli
esseri umani, la pari dignità tra uomo e donna. A proposito del discorso
interreligioso nel ’67 ad Istanbul abbiamo incontrato Atenagoras, capo
della Chiesa Ortodossa, negli anni di Paolo VI . C’ era sempre la fede
nella provvidenza per trovare i mezzi per organizzare questi eventi.
Tutto era vissuto nella fede. Don Peyron non aveva mai i soldi e alla
fine li trovava per tutto. Metteva sempre il problema economico nelle
mani della Madonna che, come ha moltiplicato il vino nelle Nozze di
Cana, così per don Peyron moltiplicava i mezzi per dei progetti voluti
dall’ alto. Questo il sogno. Anche dopo la morte di don Peyron, nel ’93,
si cerca di continuare in questa direzione. Uno dei viaggi più
impegnativi è stato quello che ci ha portato in Camerun e in Mongolia
nel 2012».
Oggi la Turris Eburnea conta 120 aderenti in Italia: una trentina di
giovani dai 15 ai 25 anni per ognuno dei quattro gruppi attivi sul
territorio a Torino, Roma, Genova, Milano. Di impressionante
attualità rimangono le ragioni del nome, Torre d'avorio, che rimandano a
Maria, al Rosario, agli appellativi con cui si loda la Vergine. Viene
in mente la Pietà, di fronte alla quale il Vasari si commosse per il
candore di una Madonna giovanissima sul Calvario. Fu chiesto a
Michelangelo perché la Madonna fosse così giovane. Il grande artista
rispose che quando una donna è pura è sempre così giovane. La Turris
Eburnea continua a insegnare che il corpo e la bellezza sono valori di
cui non bisogna aver paura a patto di custodire un cuore puro,
saldamente radicato in Dio, educato a discernere i tempi del sì dai
tempi del no.