Paolo Gentiloni è il quinto ministro degli Esteri in 18 mesi e sul tavolo della Farnesina troverà dossier già affrontati dai suoi predecessori e altri in rapida e recente evoluzione. Dopo la torrida estate che ha portato papa Francesco a parlare di “Terza guerra mondiale a brandelli”, Ucraina e Russia, Libia e Nord Africa, Isis e Medio Oriente saranno le prime emergenze, oltre alla sempre irrisolta vicenda dei due marò. Politica comune europea con sguardo rivolto a Berlino, stabilizzazione dei Balcani, ritiro dall’Afghanistan, scelte economiche verso la Cina, rapporto con gli Stati Uniti di un Obama in ascesa, futuro della Nato, cooperazione e Africa saranno temi altrettanto strategici. Gas, immigrazione, armi ed export sono invece trasversali a molti di questi scenari. Vediamone alcuni.
Proprio il giorno precedente alla nomina di Gentiloni, è arrivata da Bruxelles una buona notizia: grazie alla mediazione europea, Ucraina e Russia hanno firmato un accordo per garantire a Kiev la fornitura di gas fino a marzo 2015. Vari Stati hanno tirato un sospiro di sollievo: la sola Russia fornisce circa un terzo di tutto il gas naturale consumato nell’Ue (e in Italia) e metà di questa quota passa attraverso i gasdotti ucraini. Sul campo, però, la tregua appare fragile: secondo le Nazioni Unite, negli ultimi dieci giorni sono state uccise 300 persone, facendo arrivare i morti a più di 4mila, gli sfollati interni a 442mila e i profughi scappati nei Paesi vicini a oltre 488mila. Finora, i confini della guerra sono rimasti limitati all’Ucraina orientale, ma i rischi per la sicurezza internazionale, e quindi il ruolo della Nato, sono emersi in più occasioni. L’Italia, che in campo europeo ha posizioni più morbide verso la Russia soprattutto rispetto agli Stati dell’ex blocco sovietico, dovrà contribuire a trovare una soluzione che non metta Mosca con le spalle al muro e aiuti Kiev a salvaguardare l’integrità territoriale e ad evitare il default economico. Infine, c’è chi chiede di tutelare gli interessi dell’export italiano in Russia: nel 2014 si prevede un calo del 12% a causa della sanzioni europee.
Gentiloni dovrà poi confrontarsi con la giusta “vocazione mediterranea” dell’Italia, ma sull’altra sponda del Mediterraneo troverà una situazione incandescente. Dossier Libia vuol dire immigrazione (dalle coste libiche parte il 90% dei migranti via mare) e, anche qui, energia (insieme alla vicina Algeria). Da luglio si combatte una guerra civile e i gruppi armati sono fuori controllo, con collegamenti sempre più evidenti con il terrorismo di matrice islamista. In uno scenario ormai somalo, oltre a 287mila rifugiati interni e 150mila all’estero, ci sono due Parlamenti e due Governi in lotta tra di loro.
L’Italia è al centro della mediazione internazionale: la nostra è stata tra le poche ambasciate a non chiudere e lo scorso 11 ottobre Federica Mogherini è stata in missione proprio a Tripoli, insieme al segretario Onu Ban Ki-moon. In Medio Oriente, oltre allo stallo del negoziato Israele-Palestina, sempre a rischio di precipitare, al futuro incerto post Primavere Arabe della Tunisia appena uscita dalle elezioni e dell’Egitto in mano ai militari, c’è la Siria, giunta al quarto anno di guerra e dove più di metà della popolazione ha lasciato il Paese. Assad pare saldo al comando nella maggioranza dello Stato, mentre nel resto del territorio e in gran parte del vicino Iraq, in piena guerra civile, l’avanzata delle milizie dell’Isis ha di fatto cancellato lo Stato, sostituito da microentità territoriali su base tribale. Desta preoccupazione il "fascino" dell'Isis a livello internazionale: sarebbero 3mila gli europei che combattono in Siria e Iraq, mentre dalla sola Tunisia ne sarebbe partito un numero uguale. Oggi l’Italia sostiene la coalizione anti-Califfato voluta da Obama, che con raid aerei prova a bloccarne l’avanzata. Finora ha già contribuito a inviare armi e addestratori ai curdi, ma Gentiloni potrebbe dover rispondere a richieste ben più impegnative da parte degli alleati. Qui sarà cruciale l’attenzione ai vicini, dalla Turchia, storico partner della Nato, costretta a subire un’innaturale alleanza anti-Isis con i curdi, al Libano visitato a giugno dalla Mogherini, dove la popolazione inizia a mostrare insofferenza verso il milione di profughi siriani e dove gli sconvolgimenti della regione mediorientale hanno sempre avuto ripercussioni interne.
Tra l’altro, proprio nel Paese dei Cedri, la missione dell’Onu Unifil II è a guida italiana e sono 1.100 i militari italiani impegnati. Parlando di Medio Oriente, non si può non citare l’Iran. Bonino e Mogherini hanno spinto per un suo coinvolgimento nella stabilizzazione dell’area, Gentiloni continuerà questa linea? Sul versante asiatico, tornerà spesso di attualità la vicenda dei due marò sotto processo in India, colosso economico con cui l’Italia ha un importante giro d’affari. I predecessori di Gentiloni hanno tentato strategie diverse, dall’internazionalizzazione del caso alla “via medica” relativa alle condizioni di salute. In Afghanistan, invece, entro l’anno l’Italia dovrà completare il ritiro dei nostri soldati. Lasciamo un Paese tutt’altro che pacificato, che rischia di fare la fine degli altri Stati in cui si voleva esportare la democrazia, Iraq e Libia. Uno dei compiti che attende poi il neoministro è quello di rinsaldare i rapporti con Pechino, senza ascoltare le sirene protezionistiche di altri colleghi Ue: per volumi d’affari, l’Italia è oggi il quinto partner europeo commerciale della Cina e ha ampi margini di crescita (l’export lombardo è salito del 3,3% nel primo semestre 2014). Infine, un consiglio che gioverebbe per ognuno di questi dossier: lavorare per costruire una posizione comune europea. L’occasione è storica. A Bruxelles, a capo dell’Eeas (European External Action Service), il nuovo servizio di diplomatici europei, c’è una potenziale alleata: Lady Pesc Federica Mogherini.