Cari amici lettori, sono dieci i nuovi santi che papa Francesco ha proclamato, in piazza San Pietro, domenica 15 maggio. Nell’omelia, il Santo Padre ha riflettuto, a partire dalle parole del Vangelo (Giovanni 13,31-35), su che cosa significa santità. Una parola che forse non gode di troppa popolarità se la riferiamo a noi “semplici” cristiani, perché tende a richiamare alla mente lo sforzo, l’eroismo, quella che Bergoglio ha chiamato una «visione pelagiana della santità». Ma così la santità diventa una cosa distante, lontana dalla vita e dalle nostre povere possibilità “umane”, troppo umane. Ma alla santità siamo chiamati tutti, ha ricordato Francesco. San Paolo, rivolgendosi ai cristiani destinatari delle sue lettere, li chiama “santi”, ma non pensa certo a supereroi, se poi nelle stesse lettere deve anche richiamarli ed esortarli a vivere la santità nelle circostanze concrete della loro vita.
È un po’ questo l’orizzonte dentro il quale Bergoglio, nella sua omelia alla Messa di canonizzazione, ha riflettuto sulla santità, sottolineando che la verità prima della vita cristiana è che «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1Gv 4,10)». «Questa verità», ha affermato, «ci chiede una conversione sull’idea che spesso abbiamo di santità… abbiamo generato un ideale di santità troppo fondato su di noi, sull’eroismo personale, sulla capacità di rinuncia, sul sacrificarsi per conquistare un premio». È un’idea, questa, molto radicata e che ha, paradossalmente, l’effetto di allontanarci dall’ideale della santità. Il Papa ha continuato indicando invece la giusta prospettiva della santità: anziché farne «una meta impervia», separandola dalla vita di tutti i giorni, essa va cercata e abbracciata «nella quotidianità, nella polvere della strada, nei travagli della vita concreta e, come diceva Teresa d’Avila alle consorelle, “tra le pentole della cucina”».
È la santità dei santi “della porta accanto”, come ha scritto nella lettera dedicata alla santità, Gaudete et exsultate. E la santità, per il Papa, è radicata nel primato dell’amore di Dio per noi. Certo, poi Francesco ha ricordato naturalmente che la santità comporta il «così amatevi anche voi gli uni gli altri», il servire e dare la vita. Ma anche qui ha messo in risalto non l’“altezza” di un ideale, ma la quotidianità, la “fattibilità” della santità: «È così semplice la vita cristiana! Noi la rendiamo più complicata, con tante cose, ma è così semplice». Ha poi concretizzato la santità, esemplificandone l’esigenza specifica per diverse categorie di persone: «Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione.
Sei sposato o sposata? Sii santo e santa amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa…», e via dicendo immaginando un lavoratore, un genitore, una nonna o nonno, un’autorità. La santità insomma non è per poche anime elette: «Proviamoci anche noi: non è chiusa la strada della santità, è universale, è una chiamata per tutti noi, incomincia con il Battesimo». C’è spazio per ognuno di noi. A questi santi, «riflessi luminosi del Signore nella storia», guardiamo, cari fratelli. In particolare oggi penso a san Tito Brandsma (1881-1942), carmelitano olandese morto in campo di concentramento, «uomo della pace nell’Europa in guerra»: chiediamo la sua intercessione perché la guerra in corso possa trovare soluzioni diverse da quella attuale.