La questione è complessa e delicata, non si presta a essere impugnata con la clava e va trattata con il rispetto che si deve alle persone, tutte, a maggior ragione se non possono scegliere di essere quello che sono. È il caso di Imane, avversaria oggi della nostra Carini nella gara di pugilato: esistono persone, incluse dalla scienza nell’ampia categoria dell’intersessualità (una serie di sindromi e condizioni genetiche, biologiche, fenotipiche diverse) che nascono con caratteri cromosomici, ormonali, sessuali ambigui. Una condizione complessa per le persone che la vivono e per le loro famiglie, diventata d’attualità, spesso con toni indelicati e scomposti, in caso di competizioni sportive.
La domanda che viene in gioco è questa: è corretto che una persona che ha valori di testosterone naturalmente superiori alla media per ragioni biologiche possa competere a livello internazionale in gare femminili? Sapendo che se una donna con valori normali assumesse ormoni per raggiungere quei livelli sarebbe squalificata per doping? Stabilito che in casi come quelli di Imane non si tratta di doping e che il dolo non è in questione, stabilita la natura congenita dell'anomalia, senza entrare in dettagli privati, rimane il problema anch'esso delicato di regolamentare simili casi: da un lato per salvaguardare la possibilità per le altre atlete con valori nella norma per le donne di non essere tagliate fuori a priori dalla competizione, dall'altro per tutelare persone che anche molto giovani si trovassero in condizioni simili a quelle descritte e che potrebbero far gola a "cacciatori di teste sportive" proprio in virtù della loro anomalia, con qualche rischio di sfruttamento da parte di interessi più tesi al risultato che al benessere delle persone.
Pur trattandosi di una condizione non voluta il testosterone sopra media può ugualmente portare un vantaggio competitivo in termini di maggiore massa muscolare, e dunque maggiore forza, diversa distribuzione di massa grassa e massa magra nel corpo, un più vantaggioso rapporto peso/potenza. D’altro canto anche la necessità, che si è posta in alcune federazioni (ricordate il caso Caster Semenya nell’atletica?), di tenere i valori di testosterone sotto una certa soglia con i farmaci per poter competere in gare femminili è delicata, perché implica l’assunzione di sostanze con pesanti effetti collaterali, altra cosa che pone problemi etici. Questioni che sarebbe bene affidare a un dibattito composto e soprattutto competente, allontanando la tentazione delle curve da stadio.
È probabile che non si possa evitare che simili casi esplodano sui media ogni volta che il problema si pone, ma forse si potrebbe evitare che accada ai Giochi olimpici, sotto gli occhi del mondo con tutta la criticità che questo pone nei riguardi di persone che finiscono così esposte brutalmente a strumentalizzazioni d’opposto segno, se solo il Cio e le Federazioni internazionali si sedessero a un tavolo e cercassero di trovare una quadra per regolamentare la questione in modo chiaro o quantomeno uniforme: perché il caso Imane non sarebbe sorto, non così in mondovisione almeno, se i suoi valori non fossero regolari per il Cio e irregolari per la Federazione pugilistica internazionale (ora fuori dal Cio per questioni di corruzione indipendentemente da questi temi), se Imane non fosse stata esclusa per quei valori agli ultimi Mondiali.
E deve far riflettere il fatto che Federazioni che inizialmente si erano date regole molto aperte, col tempo si siano trovate a restringerle, per salvaguardare la regolarità delle competizioni. In gioco ci sono diritti da bilanciare, ogni volta che questo accade pone problemi complessi e chiede il cesello non la clava, ma la clava viene da sé se chi deve decidere fa Ponzio Pilato, tanto più in un campo su cui è in gioco una questione fondamentale che riguarda metà della popolazione olimpica: il futuro dello sport femminile.