Vaccini, sì o no? È una delle prime domande che i neogenitori si trovano a fronteggiare, spaesati di fronte agli allarmismi diffusi dai media che contrastano con il parere del pediatra. In effetti, fra gli interventi di salute pubblica, le vaccinazioni sono lo strumento più discusso. Per la comunità scientifica, hanno consentito di ridurre o addirittura eliminare l’incidenza di malattie che in passato provocavano un alto numero di morti o disabili, come il vaiolo, la difterite, la poliomielite e il tetano. Per tanti altri, invece, provocherebbero uno squilibrio nel sistema immunitario dei bambini, non ancora completamente formato, determinando conseguenze più o meno gravi, a breve e lungo termine. Bombe a tempo, insomma, che alcuni autori vedono correlate a malattie come la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, l’autismo, l’epilessia e il diabete.
«Si tratta di polemiche inconsistenti, perché i vaccini sono tra i farmaci più sicuri», commenta il professor Alberto Izzotti, ordinario di Igiene e Medicina preventiva presso l’Università degli studi di Genova. «Trattandosi di preparati destinati a soggetti sani, vengono sottoposti a una lunga sperimentazione per valutarne la tollerabilità, la capacità di indurre un’efficace risposta immunitaria, l’opportunità di somministrarli da soli o in combinazione con altri: mentre sul malato si possono tollerare alcuni effetti collaterali pur di condurre alla guarigione, i vaccini devono rispondere a standard di sicurezza elevatissimi, che negli ultimi quindici anni sono ulteriormente aumentati».
Ma anche dopo l’autorizzazione, si continuano a monitorare gli effetti collaterali o i problemi eventualmente sfuggiti agli studi clinici precedenti. «In sostanza, è più sicuro sottoporsi a una vaccinazione che assumere un antibiotico o qualsiasi altro farmaco», tranquillizza Izzotti.
Pareri discordanti
Ma allora perché tanto allarmismo? La fobia è iniziata nel 1998 con un caso famoso, quello dell’allora medico Andrew J. Wakefield, che – dalle colonne della rivista inglese The Lancet – accusava il vaccino trivalente (morbillo-parotite-rosolia) di causare una grave infiammazione intestinale, collegata al rischio di sviluppare autismo. Un rapporto pericoloso, successivamente smentito a qualunque livello, governativo e scientifico.
Poi, negli anni, i vaccini sono stati associati anche a meningite, sclerosi multipla, malattie autoimmuni, morte in culla, sindrome di Guillan-Barrè. Tutte ipotesi sconfessate una a una dalla scienza, ma che non fanno dormire sonni tranquilli.
«Se esiste un problema, questo può stare nella modalità di somministrazione, perché si tratta sempre di preparati farmacologici da utilizzare in maniera opportuna», considera Izzotti. «La valutazione va sempre effettuata in maniera personalizzata, perché esistono soggetti particolarmente suscettibili o con un sistema immunitario deficitario per i quali bisogna prima considerare il rapporto rischio-beneficio». Per esempio, chi è allergico al lattice non deve ricevere preparati in fiale o siringhe che contengono gomma naturale, le donne in gravidanza devono evitare i vaccini vivi attenuati (come quello contro il morbillo e la rosolia), a chi presenta una grave allergia alle uova non va inoculata la vaccinazione antinfluenzale o contro la febbre gialla, e così via.
«Esistono specifiche controindicazioni e precauzioni che, se non rispettate, possono aumentare il rischio di reazioni avverse o compromettere l’efficacia stessa del preparato», spiega Izzotti.
Non c’è sempre causa-effetto
Secondo gli esperti, il grande problema del settore è il nesso di causalità che spesso viene erroneamente attribuito al vaccino, associandogli tutto ciò che avviene successivamente nel nostro organismo.
«Questi farmaci sono studiati per difenderci specificatamente da una singola malattia e non rappresentano una panacea contro ogni male», considera Izzotti. In altre parole, se dopo ci si ammala è perché ci si doveva ammalare. «Naturalmente, i vaccini non assicurano una protezione assoluta neppure contro la malattia per cui sono studiati, seppure quelli attuali abbiano un’efficacia pari al 95-99 per cento, rispetto al 70 per cento di quelli commercializzati vent’anni fa», spiega l’esperto. «Sul successo influisce il completamento dell’intero ciclo, per quelli, ad esempio, che richiedono successivi richiami».
Obbligatori o raccomandati
In base alla normativa nazionale, le vaccinazioni obbligatorie sono solamente quattro: antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica e antiepatite virale B. «In realtà, nel corso degli anni, sono decaduti
i provvedimenti di natura coercitiva e le ammende pecuniarie per chi se ne sottrae», racconta l’avvocato Saverio Crea, esperto in tutela e risarcimento del danno da vaccino (www.avvsaveriocrea.net). «Ciò significa che anche quelli obbligatori possono essere rifiutati, a patto di manifestare all’Asl il proprio dissenso in forma scritta e motivata: ciò evita che l’autorità sanitaria attivi una procedura di segnalazione al Tribunale dei minorenni per un caso di sospetta cattiva genitorialità».
Prima di decidere, è importante sottoporsi alla visita pre-vaccinale di routine, che serve a verificare la presenza di controindicazioni o precauzioni soggettive. «I medici non sbagliano quando sostengono che la profilassi salva tante vite, e lo ha fatto soprattutto nei periodi storici in cui mancavano le principali condizioni igienico-sanitarie; ma altrettanto leciti sono i sospetti dei genitori, visto che oggi i bambini presentano spesso problematiche che scoraggiano la vaccinazione, come un sistema immunitario debilitato o allergie e
intolleranze alimentari». Nessun uomo è un’isola, ma nel campo dei vaccini ogni caso è davvero una terra da esplorare.