Non è la prima volta che il tema della giustizia, con la sua intrinseca teatralità, approda sul palcoscenico. Da molte stagioni al Manzoni di Milano vive la rassegna La storia a processo a cura di Elisa Greco, in cui non attori, ma pubblici ministeri, giudici e avvocati di professione, celebrano a scopo culturale, processi a personaggi o eventi storici.
In Tutto quello che volevo, però, in prima nazionale il 2 maggio e in programma fino al 19 all’Elfo Puccini di Milano, accade qualcosa di completamente nuovo: una vicenda giudiziaria reale, una sentenza vera, recente, che ha fatto discutere per la sua portata innovativa, diventa spunto per uno spettacolo originale, in cui si ragiona - attraverso la vicenda di una delle ragazzine coinvolte nel caso di prostituzione minorile del quartiere Parioli di Roma, pochi anni fa, - di valore della dignità, di giustizia, di condizione della donna, di come i media raccontano, caricandoli di particolari scabrosi, reati che coinvolgono la sfera intima delle vittime, rendendole due volte tali.
Lo si fa attraverso lo sguardo di Paola Di Nicola, la giudice del Tribunale penale di Roma, che ha emesso la sentenza che ha condannato il cliente adulto di una quindicenne, finita in un giro di prostituzione e incoraggiata dalla madre (a sua volta condannata in un altro processo) a continuare. Una sentenza normalissima per la condanna, diversa dai precedenti per aver quantificato non in denaro ma nell’acquisto di libri che potessero, se lo avesse voluto, dare alla ragazza gli strumenti di conoscenza per ricostruire la consapevolezza della dignità che il reato le aveva negato.
Uno sguardo non diretto, ovviamente, ma trasfigurato, rivisitato teatralmente e letterariamente, nel testo messo insieme da Cinzia Spanò che lo ha personalmente rappresentato da sola in scena, con la regia di Roberto Recchia.
Il risultato è uno spettacolo di teatro civile capace di mostrare quanto spesso la vittima di prostituzione minorile, sia vittima inconsapevole di esserlo, convinta di scegliere, a un’età acerba, quello che in realtà il contesto degli adulti la condiziona a fare. Uno spettacolo, nella forza di alcuni passaggi, adatto anche a far riflettere adolescenti delle scuole, per cui sono previste repliche mattutine, per l’età particolarmente esposti alle sollecitazioni della società dell’immagine, al giudizio della Rete appeso all’apparenza di un like.
Interessante anche il fatto che il monologo, forse a tratti un tantino carico di pathos nella recitazione, abbia trovato il modo di affrontare temi come la solitudine del giudicare, la difficoltà di affermarsi da donna in una giustizia da secoli e per secoli amministrata soltanto da uomini, l’inadeguatezza a risarcire la dignità della persona umiliata, passando dalla storia singola all’universale e viceversa, senza perdere il filo, anche grazie alla citazione, in parole e immagini, di documenti storici non così scontati.