Chiese
bruciate, attentatori suicidi nelle moschee piene di fedeli, famiglie
cristiane massacrate nel giorno di Pasqua in un parco pubblico di
Lahore, in Pakistan. Si uccide nei luoghi di culto e nelle strade di
Parigi, Bruxelles, Kabul, Baghdad, Mogadiscio. In decine di luoghi
del mondo si compiono stragi ispirate dal fanatismo religioso.
E'
un fenomeno aberrante che ha spinto padre Giulio Albanese a
scrivere un libro appena pubblicato da Einaudi: «Vittime e
carnefici», con il sottotitolo: nel nome di «dio». Padre
Albanese, comboniano, giornalista, direttore della rivista «Popoli
e Missione», fa parte del Comitato della CEI per gli interventi
caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo.
Padre
Albanese, perché nel sottotitolo del suo libro la parola «dio»
è
scritta fra virgolette?
«Sta
fra virgolette e in minuscolo per un motivo: uccidere in nome di dio
è una bestemmia. Lo ha detto in modo chiaro papa Francesco e, prima
di lui, lo avevano affermato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Stiamo assistendo a una strumentalizzazione della religione per fini
eversivi».
Purtroppo
non si tratta di un fenomeno nuovo e lei nel libro lo spiega molto
bene.
«
Sì,
se torniamo indietro con la moviola della storia non possiamo
nasconderci che anche il cristianesimo, che all'inizio subì
persecuzioni durissime, in epoca medievale e durante la triste
stagione del tribunale dell'Inquisizione, praticò a sua volta
persecuzioni, come quella nei confronti dei Valdesi. Purtroppo si
tratta di deviazioni che tradiscono lo spirito delle religioni. Nelle
Scritture e in numerosi testi dell'islamismo troviamo delle
straordinarie lezioni di convivialità che possono rappresentare
un vincolo di fraternità universale, come abbiamo visto negli
incontri di preghiera comune che Giovanni Paolo II cominciò proprio
trent' anni fa ad Assisi».
Il
martirio di tanti cristiani nel mondo non rischia di farci perdere di
vista il dato che la maggior parte delle vittime del terrorismo sono
musulmani?
«
Sì,
i cristiani, lo abbiamo visto anche il giorno di Pasqua a Lahore,
stanno pagando un prezzo altissimo. Però il terrorismo di matrice
religiosa fa più vittime fra i musulmani. Anche in Nigeria, dove
infuria Boko Haram, il rapporto fra le vittime cristiane e quelle
musulmane è di uno a trenta. Non dobbiamo ignorare questi dati,
magari pensando che fra i morti ci siano i buoni e i cattivi o
sostenendo che i musulmani uccisi se la sono cercata. Dobbiamo
evitare lo scontro di civiltà. Noi come cristiani dobbiamo
affermare sempre e comunque la sacralità della vita umana, di ogni
uomo, che sia cristiano, musulmano, induista, buddhista, ebreo o
miscredente. Ogni persona, indipendentemente dal proprio credo e
dalla propria appartenenza etnica, è stata creata a immagine e
somiglianza di Dio».
Nel
suo libro lei definisce l'Isis «la mannaia del terzo millennio».
Che cosa intende dire?
«
Voglio
sottolineare che l'Isis rappresenta un salto di qualità, ma alla
rovescia, del terrorismo di matrice religiosa. L'Isis è un
concentrato di malvagità. I suoi militanti sono andati al di là di
ogni fantasia, portando avanti un progetto perverso, provocandoci con
le prese di ostaggi, le minacce, l'abile uso dei mezzi di
comunicazione. Cercano lo scontro di civiltà e la guerra di
religione e noi purtroppo siamo cascati nella loro trappola. Non
dobbiamo dare dignità religiosa alla loro ideologia. Sono criminali
che andrebbero giudicati dal Tribunale penale internazionale».
Perché
questa brutalità, soprattutto verso l'Occidente cristiano?
«Direi
soprattutto per due motivi. Primo: i terroristi colpiscono le
comunità cristiane perché identificano il cristianesimo con
l'Occidente, salvo poi dimenticare che Gesù Cristo era nato proprio
in Medio Oriente. Secondo : questi criminali sanno che colpendo
obiettivi cristiani bucano lo schermo e hanno risonanza a livello
mondiale. Una strage in una moschea o su un campo da calcio dove
giocano degli adolescenti iracheni non hanno lo stesso rilievo
mediatico delle stragi di Parigi o Bruxelles».
Quanto
è forte l'Isis?
«La
realtà è complessa. In Africa, ad esempio, ci sono formazioni
jihadiste che oggi si dichiarano affiliate all'Isis così come prima
si dichiaravano fedeli ad al-Qaeda. Spesso è un modo per conquistare
visibilità da parte di gruppi preesistenti, che agiscono da tempo
sul piano territoriale ma senza un vero legame con le organizzazioni
del terrorismo globale. Un problema serio è la dotazione di armi e
mezzi modernissimi e costosi da parte dei terroristi. Chi li paga?
Le monarchie del Golfo hanno investito moltissimo nel business delle
armi e sono proprio loro a finanziare i gruppi estremistici salafiti
o, ad esempio, i miliziani somali. Di fronte a questo commercio noi
occidentali che cosa facciamo? Ci prostriamo davanti a sceicchi ed
emiri. Ci vorrebbe più coerenza».
In
questo contesto i leader religiosi che cosa possono fare?
«
Gettare
ponti, come fa papa Francesco. Io l'ho seguito nel suo viaggio in
Africa e lui lo ha sempre ricordato negli incontri con i capi
religiosi musulmani e cristiani: le religioni devono portare un
messaggio di pace e non devono essere mai utilizzate per manipolare
le coscienze».