È stata breve e poco fortunata la vita di Abdullahi Sheikh Abas, ucciso ieri a un posto di blocco a Mogadiscio, in Somalia. Abas era il ministro dei Lavori Pubblici, ma i militari di una pattuglia di sicurezza lo hanno scambiato per un terrorista, così hanno fatto fuoco sulla sua auto. “Il ministro è stato ucciso per errore. I militari hanno sparato sulla sua auto accidentalmente. Che la sua anima possa riposare in pace”, ha dichiarato Abdifatah Omar Halane, portavoce del sindaco di Mogadiscio. Il capo della polizia, Nur Hussein, ha detto che l’auto del ministro stava bloccando la circolazione in una strada. La pattuglia di passaggio pensava che a bordo ci fosse un terrorista suicida, uno dei tanti che colpisce a Mogadiscio, dove gli attentati del gruppo terrorista al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda, sono purtroppo una costante. Colpiscono ristoranti, hotel, personalità politiche, i militari dell’Unione Africana in missione di peacekeeping.
Abdullahi Sheikh Abas aveva solo 31 anni e nel novembre scorso era diventato il più giovane parlamentare somalo, dopo aver sconfitto nelle elezioni l’ex ministro dell’Informazione. In seguito era arrivata la nomina a ministro.
Abas era cresciuto nel gigantesco campo profughi di Dadaab, nel Kenya nord-orientale. Una esperienza simile a quella di altre centinaia di migliaia di somali che nel corso dei decenni sono fuggiti dalla siccità e dalla guerra civile. Gestito dall’UNHCR (l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati), il campo di Dadaab accoglie attualmente 256.000 profughi. Decine di migliaia di loro sono tornati in Somalia grazie a un programma di rimpatrio assistito dall’ONU, ma la grave siccità che affligge il paese africano negli ultimi mesi ha sospinto verso il campo altre migliaia di somali.