La guerra in Ucraina ha reso la domanda di scottante attualità, volendo tradurre la questione in termini orwelliani potremmo porla così: tutti i rifugiati sono uguali davanti al diritto d’asilo o ci sono rifugiati più uguali degli altri? È il tema su cui, in termini un tantino più sofisticati, sta provando a far luce la due giorni di incontri in corso a Roma nella sede della Comunità di Sant’Egidio, organizzata da Area democratica per la Giustizia, in cui giuristi, magistrati, esperti e testimoni, si interrogano sul tema “Il diritto di asilo in tempo di guerra”. Avrebbe dovuto parteciparvi con una lectio magistralis anche Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale, ma un’emergenza lo ha costretto a rinunciare.
Come spiega Giovanni Salvi, procuratore generale della Corte di Cassazione: «Non esiste una sola guerra. La guerra in Ucraina non è l’unica in corso e non è diversa dalle altre: ma è diversa la nostra reazione ed è normale, perché nessuno prevedeva che accadesse tra Paesi membri del consiglio d’Europa un’invasione di un Paese indipendente, con armate vecchio stampo».
Benché la Costituzione italiana, le fonti sovranazionali del diritto e le convenzioni internazionali non facciano distinzione tra rifugiati e rifugiati, perché il diritto di asilo è riconosciuto (senza distinzioni), «allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche. La nostra reazione fa sì che si verifichi e si sia verificato anche in passato un atteggiamento di “preferenza” a chi in fuga dalla guerra si affaccia ai confini partendo da una cultura più affine o da un profilo più interessante dal punto di vista economico: si pensi per esempio ai profughi siriani nel 2014-15 che, in quanto prevalentemente professionisti, erano più appetibili dal punto di vista professionale rispetto ad altri rifugiati». Altrettanto oggi, forse per un sentimento di prossimità territoriale e culturale, per i profughi ucraini è più facile trovare accoglienza in Paesi dell'Unione europea rispetto a chi fugge da altre guerre.
Quello che il Primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio definisce «un esodo biblico» consta infatti di 4 milioni Ucraini in fuga (fonte Onu) e oltre 82 milioni di persone (fonte Unhcr 2020) costrette lasciare la propria casa e la propria città per traferirsi altrove; 40 milioni sono rifugiati "interni"; il 73% degli altri 42 milioni è accolto in Paesi confinanti; solo una piccola percentuale di questi richiedenti Asilo riesce ad avvicinarsi ai confini dell’Europa.
Una delle domande cui il convegno prova a rispondere è se quella che gli organizzatori definiscono “Esternalizzazione dei controlli di frontiera”, tramite accordi con Paesi terzi (la Libia per esempio) che però non sempre sono di sicuro transito secondo quanto richiesto dal diritto internazionale, sia compatibile con l’articolo 10 della Costituzione e con il divieto di respingimento. Chi non arriva ad affacciarsi ai confini non ha infatti un giudice cui far giungere la verifica del proprio diritto, che viene negato a monte e a prescindere per l’impossibilità di richiederlo.
Ma, come sottolinea Salvi, «perché si possa dare una risposta in tempi ragionevoli e perché non si verifichino contrasti inconsapevoli per troppo affollamento di casi approdati in Suprema corte, occorrerebbe in Italia una migliore distinzione a monte tra richiedenti protezione internazionale e altri migranti».
«L’articolo 10 della Costituzione», spiega Maria Cristina Ornano, raccogliendo il tema inizialmente assegnato a Gaetano Silvestri, «mette l’asilo tra i diritti fondamentali, non pone condizioni ed eccezioni, né reciprocità: si tratta di un diritto soggettivo da applicare sotto controllo di un giudice, non di una mera aspirazione da sottoporre a una sorta di richiesta di grazia; il beneficiario deve godere di tutti i diritti garantiti ai cittadini (salute, istruzione...); si tratta di un diritto sottoposto a bilanciamento, ma solo con altri diritti di pari rango, non può sottostare a limitazioni per ragioni di bilancio o di politiche securitarie. Si verifica un vulnus di democrazia, in violazione del principio di eguaglianza, se la disponibilità di accoglienza viaggia a due velocità per i profughi dalla guerra in Ucraina e per quelli dalle guerre del Sud del mondo».
La grande domanda è: «C’è uno spazio per meglio conciliare diritti umani imprescindibili in democrazia ed esigenze di sicurezza che passano anche per il fatto di non creare i presupposti a che chi avrebbe diritto all’asilo e non riesce ad avvicinarsi ai confini non passi per la via dei trafficanti di uomini? Io credo di sì, ma la risposta è complesa».
Il tema della sicurezza d’altro canto è presente sul tavolo. Parlando di un progetto di Agromafie Coldiretti Giovanni Salvi spiega: «È importante anche il fatto che si sia avviato un iniziale superamento del rifiuto dei canali lavorativi di ingresso: un rifiuto criminogeno, perché non è logico che a fronte di una necessità, che il Paese ha, di lavoratori stagionali che vorrebbero entrare e tornare a casa per esempio in agricoltura, si rifiuti loro un permesso lavorativo regolare e temporaneo, finendo per spingerli verso l’ingresso illegale per svolgere un lavoro legale. Per superare il senso di insicurezza connesso alle migrazioni non si può che passare per una seria politica di integrazione: l’unica strada è il trattamento dignitoso, la possibilità di lavorare alla luce del sole, mentre la spinta verso l’illegalità va in direzione opposta».