Una bimba accarezza un gatto davanti alle case distrutte di Moshchun, un villaggio ucraino non distante da Kviv. La foto, del 9 novembre scorso, è dell'agenzia Reuters. In alto e in copertina: dolore e bombe a Kharkiv. Foto Reuters.
È l'ennesimo appello. Al termine della consueta udienza del mercoledì, oggi dedicata allo "zelo apostolico", ovvero, ha spiegato lo stesso Santo Padre in apertura, all'evangelizzazione, papa Francesco è tornato a parlare di Ucraina. «Non dimentichiamo la cara e martoriata popolazione Ucraina, pregando affinché possano finire presto le sue crudeli sofferenze». La nuova esortazione perché le armi tacciano, ha osservato il sito Vatican News, si aggiunge ai numerosi appelli lanciati da Francesco durante questi dodici mesi. All’Angelus, domenica 12 febbraio, il Papa aveva espresso una speranza: «Che il Signore apra vie di pace e dia ai responsabili il coraggio di percorrerle». Anche all’Udienza generale dell’8 febbraio il Papa aveva ricordato la sofferenza del popolo ucraino: “con questo freddo, senza luce, senza riscaldamento, e in guerra”.
Mercoledì 15 febbraio 2023, Vatican news.
«EVANGELIZZARE NON È DIRE BLA BLA BLA»
«Evangelizzare non è dire blòa bla bla, c’è una passione che coinvolge tutto: per questo parliamo di passione di evangelizzare», aveva detto prima, a braccio, il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI e dedicata allo zelo apostolico. «Per Gesù», ha ricordato Francesco secondo il resocnto che ne ha fatto l'agenzia di srtampa Sir, «non c’è andare senza stare, non c’è stare senza andare. L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì. Non si impara in un’accademia, comincia dall’incontro col Signore. Può portare il Vangelo di Gesù solo chi sta con lui: uno che non sta con lui non può portare il Vangelo, porterà le sue idee, ma non il Vangelo».
«Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce». "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, il Papa ha ricordato le cinque parole di Gesù contenute nel capitolo 10 del Vangelo di Matteo. «L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito”, ha commentato: “incontrare Gesù, conoscerlo, scoprire di essere amati e salvati. È un dono così grande che non possiamo tenerlo per noi, sentiamo il bisogno di diffonderlo; però nello stesso stile, nella gratuità. In altre parole: abbiamo un dono, perciò siamo chiamati a farci dono. La nostra vocazione è farci dono per gli altri. C’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno. Questo è il perché dell’annuncio: andare e portare la gioia di quello che noi abbiamo ricevuto”.
Mercoledì 15 febbraio 2023, Vatican news.
Dio non ci chiede di essere "rilevanti, numerosi, prestigiosi"
“Dio è vicino” è ciò che “va detto, prima di tutto e in tutto”, la raccomandazione: “Dio è stato sempre è stato vicino a qualcuno. Lui stesso lo dice al popolo: ‘Quale Dio è vicino alle nazioni come io sono vicino a voi’?”. “La vicinanza è una delle tre cose importanti di Dio: vicinanza, misericordia e tenerezza”, ha ribadito Francesco: “Dio è vicino, è tenero e misericordioso, questa è la realtà di Dio”. “Noi, predicando, spesso invitiamo la gente a fare qualcosa, e va bene; ma non scordiamoci che il messaggio principale è che lui è vicino a noi fino alla fine”, l’indicazione di rotta. “Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, vogliamo essere protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare”, l’analisi del Papa: “Ma, se al primo posto sta quello che facciamo, i protagonisti saremo ancora noi. Invece l’annuncio deve dare il primato a Dio: al primo posto Dio, e dare agli altri l’opportunità di accoglierlo, di accorgersi che lui è vicino”. Dio “non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci”, ha argomentato Francesco soffermandosi sullo stile della testimonianza: “Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà, vinceremo noi. No, vi mando come pecore, come agnelli: questo è l’importante. Se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà. Ci chiede di essere così, di essere miti e innocenti, disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione, tenerezza. E lui, il pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati”. “Se io voglio essere del Signore, devo lasciare che lui sia il pastore, e lui non è il pastore dei lupi, è il pastore degli agnelli, miti, umili”, ha ancora aggiunto a braccio a proposito del mandato missionario, che “non coinvolge soltanto la mente, coinvolge tutto: mente, cuore, mani, tutto, i tre linguaggi, del pensiero, dell’affetto e delle opere. Non si può evangelizzare soltanto con la mente”.