Abitanti di Kyiv nei tunnel della metropolitana per ripararsi da un attacco russo (foto Reuters).
Inviata a Kyiv
Mentre il rigore implacabile dell'inverno è ormai alle porte, l'Ucraina vive una delle fasi più dure della guerra. L'offensiva russa sta mettendo a dura prova la tenuta delle forze ucraine nell'est e Mosca sta avanzando accaparrandosi nuove porzioni di territorio e villaggi. In questi giorni le forze di Putin hanno sferrato attacchi aerei tra i più massicci degli ultimi due anni e nove mesi di guerra, puntando a colpire in particolare le infrastrutture energetiche e provocando vittime tra i civili. A Kyiv, mentre risuonava la sirena dell'allarme, tanta gente ha trovato rifugio nei tunnel della metropolitana. Mentre gli ucraini si preparano con preoccupazione alla terribile possibilità di affrontare l'inverno senza riscaldamento e attendono di capire quali saranno le mosse del prossimo presidente Usa Donald Trump (che ha dichiarato di voler mettere fine al conflitto), il capo di Stato uscente Joe Biden, dopo mesi di rifiuti, agli sgoccioli del suo mandato ha deciso di dare il via libera all'uso da parte di Kyiv dei missili statunitenti a lungo raggio Atacms per colpire obiettivi in profondità nel territorio russo.
«La situazione adesso in Ucraina è molto difficile. Il fatto che l'Ucraina stia ancora resistendo di per sé è un miracolo. E' come la lotta fra Davide e Golia: l'Ucraina rispetto alla Russia è piccola, le sue risorse sono più limitate rispetto a quelle dell'aggressore. Ma siamo stati capaci di liberare più del 50 per cento del nostro territorio. In quest'ultimo però l'esercito ucraino purtroppo retrocede». A raccontare la guerra e il martirio della sua gente, riflettendo sul ruolo che la Chiesa deve assumere in questo momento, è l'arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina (maggioritaria rispetto alla Chiesa cattolica di rito latino) e arcieparca metropolita di Kyiv. Nei giorni in cui la capitale e il resto del Paese sono bersaglio di attacchi incessanti, ci accoglie a braccia aperte nella sua sede residenziale accanto alla grande Cattedrale della Resurrezione di Cristo, inaugurata nel 2011, costruita in stile moderno nel Livoberezhnyi Masyv, sulla riva sinistra del fiume Dnipro. Più tardi, spiega, avrà un incontro online con i cappellani militari, che sostengono i soldati impegnati al fronte.
L'arcicescovo pensa alla sofferenza senza fine della popolazione ucraina. «Su quattro missili lanciati, tre colpiscono la popolazione civile. Qui a Kyiv ogni notte subiamo bombardamenti. L'inverno che stiamo per affrontare potrebbe essere il più difficile di tutta la storia dell'Ucraina». I traumi provocati dalla guerra crescono, la popolazione è profondamente lacerata nel corpo e nell'anima. «Ogni comunità e parrocchia è ferita, non esiste una famiglia ucraina che oggi non pianga la perdita dei suoi cari», continua l'arcivescovo. «In Ucraina 14 milioni di persone hanno abbandonato le loro case: se pensiamo che tutta la Bielorussia conta 6 milioni di abitanti, capiamo quanto sia grande il numero. La maggior parte di queste persone sono sfollate interne, 4 milioni e mezzo sono andati in Europa, ma tutti gli altri sono qui. L'intero Paese si è spostato. Noi come Chiesa siamo stati costretti a trovare addirittura un nuovo termine per descrivere il nostro lavoro pastorale: prima parlavamo della pastorale che cura le ferite del popolo, ora noi parliamo della pastorale del lutto. E questa terminologia ci è stata suggerita dai nostri psicoterapeuti e psicologici, perché dobbiamo imparare a capire bene il dolore umano, la Chiesa deve capire cosa succede nella persona, quando patisce il dolore. Il lutto è il momento primario che un essere umano attraversa quando perde chi gli è caro. Alcuni dicono che la persona abbia diritto al lutto. E il dolore ha il suo dinamismo che dobbiamo conoscere, rispettare, gestire ed accompagnare». A volte, ammette Shevchuk, davanti al lutto le parole sono inutili. L'unica forma di accompagnamento è il silenzio. «Talvolta l'unica cosa che un pastore può fare è essere presente, prendere per mano la donna, il bambino, l'anziano che sta affrontando il lutto, piangere insieme».
Riflette su quali potranno essere le condizioni per arrivare a mettere fine alla guerra. «Tutti in Ucraina capiscono che con le sole armi non si può far finire la guerra. Il dialogo deve entrare in gioco, la ricerca della formula della pace, basata sul diritto internazionale. Bisogna fare delle trattative, altrimenti la guerra si prolungherà all'infinito. Ma nel momento attuale il dialogo è molto difficile, seppure appoggiato dalla nostra Chiesa e dalla nostra società. Il dialogo per sua definizione include due parti che si parlano, ma all'inizio della guerra quando il nostro presidente ha formato un gruppo diplomatico per dialogare con l'aggressore, si è scontrato con una realtà del monologo: la parte ucraina non era considerata soggetto del dialogo. Siamo stati dichiarati la nazione che non esiste, il Paese che ha perso il diritto alla propria esistenza. E questo è molto doloroso. L'ideologia russa dice che l'Ucraina è un territorio e che il popolo ucraino non esiste. Per i russi è molto chiaro: o uno diventa russo o va eliminato. Perciò il dialogo è impossibile per la mancanza di soggettività dell'Ucraina agli occhi dell'aggressore. Ci attaccano senza parlare con noi. Hanno deumanizzato un intero popolo. Noi come Chiesa appoggiamo qualunque tipo di ricerca della formula della pace, appoggiamo l'iniziativa del Governo ucraino che ha organizzato la conferenza per la pace lo scorso giugno in Svizzera, per mettersi d'accordo sui principi della formula per la pace. Dunque, sì al dialogo, no al disprezzo della soggettività di un intero popolo, altrimenti non vedremo una via di uscita ragionevole a questa guerra insensata, come la definisce il Santo Padre».
Parlare oggi alla popolazione ucraina di negoziati che comportino la cessione dei territori occupati alla Russia, secondo l'arcivescovo, è molto doloroso. « Non si tratta dei territori, ma delle persone che ci vivono, si tratta della mia gente», sottolinea con forza Shevchuk. «Là le persone soffrono ogni giorno, non possono essere ignorate e con una trattativa di pace sarebbero condannate per sempre. Chi parlerà a nome loro? Io non posso non pensare alla loro sorte. Un negoziato va poi spiegato al popolo e vi devo dire che non è semplice. E' molto facile parlare di negoziati per chi non ha visto la guerra, usare il dolore dell'Ucraina per creare le condizioni di comfort dei popoli ricchi dell'Occidente. Perciò noi parliamo di pace giusta, che è anche nel vocabolario della Santa Sede : pacificare l'aggressore e accontentare il criminale è ingiusto. E una pace ingiusta provocherà altre guerre. Dobbiamo cercare insieme la giustizia, il rispetto della vita umana, non degli appetiti geopolitici dei più forti del mondo».
(Foto sopra, l'arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč Sviatoslav Shevchuk, 54 anni)