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lunedì 19 maggio 2025
 
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A Kharkiv, da due anni le vite sospese degli sfollati che hanno perso tutto

23/02/2024  A due anni dall'invasione russa - che ricorre il 24 febbraio - nella città del Nordest dell'Ucraina, un tempo fervido polo culturale del Paese, la vita va avanti nel tentativo di normalità quotidiana, nonostante la minaccia costante di attacchi. Nel centro di accoglienza di Holodna Gora sono ospitate 166 persone evacuate dalla zona di Kupiansk, che non possono tornare a casa. Un sostegno arriva dal programma di protezione individuale di Intersos, Ong che opera in prima linea nelle emergenze, impegnata nelle zone più vicine al fronte

Al centro di accoglienza di Holodna Gora, periferia di Kharkiv, un incontro con la Ong Intersos sulle truffe al telefono.
Al centro di accoglienza di Holodna Gora, periferia di Kharkiv, un incontro con la Ong Intersos sulle truffe al telefono.

Stretta nel suo giubbotto giallo su una poltroncina nel centro di accoglienza di Holodna Gora, periferia di Kharkiv, Valentina racconta la sua storia, mentre fuori, nella città, risuona la sirena - l'ennesima - dell'allarme antiaereo. Ripercorrere gli ultimi due anni della sua vita, da quando Kupiansk, la sua città, nella regione di Kharkiv, all'inizio dell'invasione russa è stata occupata dalle truppe di Mosca. «A Kupiansk lavoravo come insegnante», dice Valentina, 62 anni, «dopo l'occupazione, ad aprile, a causa dello stress ho avuto un problema di salute ai reni e sono stata ricoverata in ospedale. Lì non erano ricoverati solo i civili, ma anche i soldati russi, gli occupanti. Sono rimasta in ospedale per tre mesi ed è stato spaventoso: i soldati erano quasi sempre ubriachi e aggressivi, incutevano terrore. Io ho vissuto nella paura: da quando è scoppiata la guerra nel Donbas, nel 2014, ho sempre prestato aiuto alle forze ucraine. Temevo che i miei concattidini mi avrebbero tradito e denunciato ai russi. Per tutto il tempo del mio ricovero cercavo di rendermi anonima, di nascondermi comprendomi il visto con le mascherine». 

Il direttore dell'ospedale, prosegue Valentina, aveva deciso di tenere nel suo ufficio la bandiera giallo-blu ucraina. «Ha detto chiaramente ai soldati russi: "Se volete essere curati, dovete accettare la bandiera, perché qui siamo in Ucraina".  Quando sono stata dimessa, a luglio, la bandiera era ancora al suo posto: il direttore aveva mantenuto la sua promessa». Nessuno degli abitanti l'ha denunciata. Valentina è stata poi evacuata a Kharkiv ed è stata accolta nel centro per sfollati, dove vive tuttora. Ha due figlie, la più piccola è disabile e vive lì con lei. Nel frattempo la sirena dell'allarme ha smesso di risuonare. Valentina si alza in piedi e, con gli occhi lucidi, implora: «Noi siamo soli, voi stranieri dovete portare e diffondere nei vostri Paesi la consapevolezza che qui abbiamo bisogno di aiuto. I vostri Governi devono fare tutto il possibile per fermare la Russia».

Scarpe e vestiti nell'atrio del centro di accoglienza di Holodna Gora, a Kharkiv.
Scarpe e vestiti nell'atrio del centro di accoglienza di Holodna Gora, a Kharkiv.

Nel centro di accoglienza di Holodna Gora sono ospitati 166 sfollati, tutti evacuati dall'area di Kupiansk. «Per la maggior parte si tratta di anziani, persone disabili, e poi donne con bambini piccoli che, in alcune zone come quella di Kupiansk, sono state obbligate a evacuare. Tanti vorrebbero tornare a casa, ma per adesso è impossibile: Kupiansk è stata liberata dalle forze ucraine a settembre del 2022, ma la zona è ancora molto pericolosa, è vicinissima al fronte ed e bersaglio di bombardamenti quotidiani».  A spiegare è Daria Kustanovych, 28 anni, program manager a Kharkiv di Intersos, Ong con sede in Italia impegnata nei contesti di emergenza, che da due anni lavora in Ucraina per garantire assistenza umanitaria alla popolazione martoriata, agli sfollati, a chi ha perso tutto, in particolare nelle zone dell'Est e del Sud.

Nell'atrio di ingresso del centro, una montagna di giacconi, vestiti, scarpe e stivali è accastata sopra e sotto i tavoli. Tra le stanze è un viavai di persone, alcuni bambini scorazzano lungo il corridoio, seguiti dalle loro madri.  Nella sala delle conferenze arriva un gruppo di anziani, che si registrano per partecipare a un incontro tenuto da Intersos: un giovane operatore oggi spiega loro come difendersi dalle truffe al telefono.

Nel centro di accoglienza di Kharkiv, Intersos svolge un programma di protezione individuale per i più vulnerabili. Olena Gritskova, 59 anni, è stata inserita da Intersos nel programma di assistenza sanitaria. «Ho una malattia autoimmune, il lupus eritematoso, e Intersos si prende cura di me mi sta aiutando davvero tanto». Lei è di Kharkiv, lavora nel centro come contabile, vive da sola. Ricorda i giorni dell'emergenza, quando da Kupiansk sono arrivati gli sfollati, bisognosi di tutto. «Io ho cercato di aiutarli dando loro tutto quello che potevo, cibo, vestiti, perfino il mio telefonino». Sorride, Olena, ripensando a una famiglia di sfollati rom composta da ben diciannove persone. 

Sullo sfondo della piazza la prestigiosa università di Kharkiv.
Sullo sfondo della piazza la prestigiosa università di Kharkiv.

A Kharkiv la vita va avanti, nella normalità quotidiana, nonostante la continua minaccia di bombardamenti. La città, la seconda per grandezza dopo Kyiv, due milioni di abitanti prima della guerra, è a 30 km dal confine con la Russia, dall'inizio del conflitto bersaglio costante di attacchi massicci ai quali la città ha risposto opponendo una strenua ressistenza.  I missili hanno colpito quartieri residenziali, edifici storici, infrastrutture civili, anche il nuovissimo Kharkiv Palace Hotel, lo scorso dicembre. Buona parte della popolazione con la guerra se ne è andata, ma tanti stanno tornando. In qualche modo, alla vita sotto le bombe ci si abitua, si diventa fatalisti e si smette di vivere nella paura, osserva Vadim, 33 anni, profondamente orgoglioso della città nella quale è nato e dove ha scelto di restare. «In Occidente pochi conoscono Kharkiv e il suo patrimonio. Prima della guerra era la città più bella dell'Ucraina, ricca di storia, di musei, sede di una famosa università, era la capitale culturale del Paese», afferma. «E sono sicuro che un giorno tornerà ad esserlo di nuovo». 

(In alto e in copertina: edifici bombardati a Kharkiv)

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A Odessa, tra bandiere nazionali, edifici illuminati e preghiere la vita oltre la guerra
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