Pubblichiamo il testo integrale di papa Francesco che mercoledì in Vaticano ha incontrato in udienza i partecipanti all’Incontro “European Jesuits in formation”, in corso a Roma.
Buongiorno. Sono contento di accogliervi. Grazie tante di questa visita, mi fa bene. Quando io ero studente, quando si doveva andare dal Generale, e quando con il Generale dovevamo andare dal Papa, si portava la talare e il mantello. Vedo che questa moda non c’è più, grazie a Dio.
Mi ha fatto ridere il sacerdote quando ha parlato di unificare la pastorale dei Gesuiti. Io avevo capito che si trattasse di unificare le anime e i cuori dei Gesuiti, non le modalità, perché se si fa questo finisce la Compagnia di Gesù. Si diceva che il primo ruolo del Generale era di “pascolare i Gesuiti”, e un altro diceva: “Sì, ma è come pascolare un gregge di rospi”: uno di qua, uno di là… Ma questo è bello, perché ci vuole una grande libertà, senza libertà non si può essere Gesuita. E una grande obbedienza al pastore; il quale deve avere il grande dono del discernimento per permettere a ognuno dei “rospi” di scegliere quello che sente che il Signore gli chiede. Questa è l’originalità della Compagnia: unità con grande diversità.
Il Beato Paolo VI ci ha detto, nella XXXII Congregazione generale, che lì dove ci sono gli incroci delle idee, dei problemi, delle sfide, lì c’è un Gesuita. Leggete quel discorso: a mio avviso è il discorso più bello che un Papa abbia fatto alla Compagnia. Era un momento difficile per la Compagnia, e il Beato Paolo VI incomincia il discorso così: “Perché dubitate? Un momento di dubbi? No! Coraggio!”. E vorrei collegarlo con un altro discorso, non di un Papa bensì di un Generale, di Pedro Arrupe: è stato il suo “canto del cigno”, nel campo rifugiati in Thailandia, non so se a Bangkok o a sud di Bangkok. Ha fatto quel discorso presso l’aereo ed è atterrato a Fiumicino con l’ictus. È stata la sua ultima predica, il suo testamento. In questi due discorsi c’è la cornice di quello che oggi la Compagnia deve fare: coraggio, andare alle periferie, agli incroci delle idee, dei problemi, della missione… Lì c’è il testamento di Arrupe, il “canto del cigno”, la preghiera. Ci vuole coraggio per essere Gesuita. Non vuol dire che un Gesuita debba essere incosciente, o temerario, no. Ma avere coraggio. Il coraggio è una grazia di Dio, quella parresia paolina… E ci vogliono ginocchia forti per la preghiera. Credo che con questi due discorsi voi avrete l’ispirazione per andare dove lo Spirito Santo vi dirà, nel cuore.
Poi si parla di comunicazione, che è uno dei vostri temi. A me piace tanto il metodo comunicativo di San Pietro Favre: sì, Favre comunicava e lasciava che gli altri comunicassero. Leggete il memoriale: è un monumento alla comunicazione, sia quella interiore con il Signore, sia quella esterna con la gente.
E vi ringrazio per quello che fate. Andate avanti, agli incroci, senza paura. Ma siate ancorati al Signore.
Pregate per me, non dimenticatevi! Questo lavoro [del Papa] non è facile… Forse questa sembra un’eresia, ma abitualmente è divertente. Grazie.
Abbiamo ancora alcuni minuti: se qualcuno di voi vuole fare qualche domanda o qualche riflessione, approfittiamo di questi minuti. Così io imparo dalle vostre eresie…
Papa Francesco:
Forse questo è uno dei problemi più acuti e più dolorosi per i giovani, perché va proprio al cuore della persona. La persona che non ha lavoro, si sente senza dignità. Ricordo una volta, nella mia terra, una signora è venuta a dirmi che sua figlia, universitaria, parlava parecchie lingue, non trovava lavoro. Io mi sono mosso con alcuni laici, lì, e hanno trovato un lavoro. Quella donna mi ha scritto un biglietto che diceva: “Grazie, Padre, perché Lei ha aiutato mia figlia a ritrovare la dignità”. Non avere lavoro toglie la dignità. E di più: non è il fatto di non poter mangiare, perché può andare alla Caritas e le danno da mangiare. Il problema è non poter portare il pane a casa: toglie la dignità. Quando io vedo – voi vedete – tanti giovani senza lavoro, dovremo domandarci perché. Troverete sicuramente la ragione: c’è una risistemazione dell’economia mondiale, dove l’economia, che è concreta, lascia il posto alla finanza, che è astratta. Al centro c’è la finanza, e la finanza è crudele: non è concreta, è astratta. E lì si gioca con un immaginario collettivo che non è concreto, ma è liquido o gassoso. E al centro c’è questo: il mondo della finanza. Al suo posto avrebbero dovuto esserci l’uomo e la donna. Oggi questo è, credo, il grande peccato contro la dignità della persona: spostarla dal suo posto centrale. Parlando l’anno scorso con una dirigente del Fondo Monetario Internazionale, lei mi ha detto che aveva avuto il desiderio di fare un dialogo fra l’economia, l’umanesimo e la spiritualità. E mi ha detto: “Sono riuscita a farlo. Poi mi sono entusiasmata e ho voluto farlo tra la finanza, l’umanesimo e la spiritualità. E non sono riuscita a farlo, perché l’economia, anche quella di mercato, si può aprire all’economia sociale di mercato, come aveva chiesto Giovanni Paolo II; invece, la finanza non è capace, perché tu non puoi afferrare la finanza: è ‘gassosa’ ”. La finanza assomiglia su scala mondiale alla catena di Sant’Antonio! Così, con questo spostamento della persona dal centro e col mettere al centro una cosa come la finanza, così “gassosa”, si generano vuoti nel lavoro.
Ho voluto dire questo in generale perché lì ci sono le radici del problema della mancanza di lavoro, posto dalla tua domanda: “Come posso io capire, comunicare e accompagnare un giovane che è in quella situazione di non lavoro?”. Fratelli, ci vuole creatività! In ogni caso. Una coraggiosa creatività, per cercare il modo di venire incontro a questa situazione. Ma non è una domanda superficiale, quella che tu hai fatto. Il numero dei suicidi giovanili è in aumento, ma i governi – non tutti – non pubblicano il numero esatto: pubblicano fino a un certo punto, perché è scandaloso. E perché si impiccano, si suicidano questi giovani? La ragione principale di quasi tutti i casi è la mancanza di lavoro. Sono incapaci di sentirsi utili e finiscono… Altri giovani non se la sentono di affrontare il suicidio, ma cercano un’alienazione intermedia con le dipendenze, e la dipendenza, oggi, è una via di fuga da questa mancanza di dignità. Pensate che dietro ad ogni dose di cocaina – pensiamo – c’è una grande industria mondiale che rende possibile questo, e probabilmente – non sono sicuro – il movimento di denaro più grande nel mondo. Altri giovani sul telefonino vedono cose interessanti come progetto di vita: almeno danno un lavoro… Questo è reale, succede! “Ah, io prendo l’aereo e vado ad arruolarmi nell’Isis: almeno avrò mille dollari in tasca ogni mese e qualcosa da fare!”. Suicidi, dipendenze e uscita verso la guerriglia sono le tre opzioni che i giovani hanno oggi, quando non c’è lavoro. Questo è importante: capire il problema dei giovani; far sentire [a quel giovane] che io lo capisco, e questo è comunicare con lui. E poi muoversi per risolvere questo problema. Il problema ha soluzione, ma bisogna trovare il modo, c’è bisogno della parola profetica, c’è bisogno di inventiva umana, bisogna fare tante cose. Sporcarsi le mani… È un po’ lunga la mia risposta alla tua domanda, ma sono tutti elementi per prendere una decisione nella comunicazione con un giovane che non ha lavoro. Hai fatto bene a parlare di questo, perché è un problema di dignità.
E cosa succede quando un Gesuita non ha lavoro? Lì c’è un problema grosso! Parla presto con il padre spirituale, con il superiore, fai un bel discernimento sul perché…
Grazie. Non ti do più lavoro [rivolto al traduttore].
Domani è la festa di San Pietro Favre: pregatelo perché ci dia la grazia di imparare a comunicare.
Preghiamo la Madonna: Ave o Maria…
[Benedizione]
E non dimenticatevi, per favore, quei due discorsi: quello del Beato Paolo VI, nel 1974, alla XXXII Congregazione generale, e quello di padre Arrupe in Tailandia, il suo canto del cigno, il suo testamento.