Non si può essere egoisti, non si può pensare soltanto al proprio bene. Dalla pandemia possiamo uscire migliori o peggiori. E se non affrontiamo le cose costruendo una società più pacifica e inclusiva il rischio è di peggiorare una crisi che il virus ha messo in evidenza. Seconda udienza in presenza per papa Francesco. Nel cortile di San Damaso, in Vaticano, incontra i fedeli. Si trattiene dallo stringere mani, ma parla e benedice.
Poi prende la parola chiedendo di non stare ammucchiati «per evitare i contagi». Continuando il ciclo di catechesi sul tema “Guarire il mondo”, incentra la meditazione, partendo dal vangelo di Matteo sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci, su “Amore e bene comune”. Un argomento a lui caro e trattato più volte nel corso della pandemia.
«La crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia», dice subito il Papa, «colpisce tutti; possiamo uscirne migliori se cerchiamo tutti insieme il bene comune. Al contrario usciremo peggiori. Purtroppo, assistiamo all’emergere di interessi di parte. Per esempio, c’è chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini. E poi venderli agli altri. Alcuni approfittano della situazione per fomentare divisioni: per cercare vantaggi economici o politici, generando o aumentando conflitti». Francesco parla dei «devoti di Ponzio Pilato» che «semplicemente non si interessano della sofferenza altrui, passano oltre e vanno per la loro strada». Al contrario «la risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenti crisi socio-economiche si basa sull’amore, anzitutto l’amore di Dio che sempre ci precede. Lui ci ama per primo, lui sempre ci precede nell’amore e nelle soluzioni. Lui ci ama incondizionatamente, e quando accogliamo questo amore divino, allora possiamo rispondere in maniera simile. Amo non solo chi mi ama: la mia famiglia, i miei amici, il mio gruppo, ma anche quelli che non mi amano, amo anche quelli che non mi conoscono, amo anche quelli che sono stranieri, e anche quelli che mi fanno soffrire o che considero nemici». Il punto più alto della santità, ricorda il Pontefice, è proprio «amare i nemici. Non è facile Non è facile. Certo, amare tutti, compresi i nemici, è difficile, direi che è un’arte! Però un’arte che si può imparare e migliorare. L’amore vero, che ci rende fecondi e liberi, è sempre espansivo e anche l’amore vero non solo è espansivo, è inclusivo. Questo amore cura, guarisce e fa bene. Tante volte fa più bene una carezza che tanti argomenti. È l’amore inclusivo che guarisce».
Non solo l’amore tra poche persone, tra amici o nella famiglia, ma un amore che «comprende i rapporti civici e politici, incluso il rapporto con la natura. L’amore è inclusivo, tutto. Poiché siamo esseri sociali e politici, una delle più alte espressioni di amore è proprio quella sociale e politica, decisiva per lo sviluppo umano e per affrontare ogni tipo di crisi». Un amore che «feconda anche le relazioni sociali, culturali, economiche e politiche, permettendoci di costruire una “civiltà dell’amore”, come amava dire San Paolo VI e, sulla sua scia, San Giovanni Paolo II».
Senza questo amore, invece «prevale la cultura dell’egoismo, la cultura dell’indifferenza, la cultura dello scarto, scartare coloro a cui non voglio bene o coloro che mi sembrano inutili alla società».
Il Pontefice racconta della coppia incontrata all’ingresso che gli ha chiesto di pregare per il figlio disabile. Un figlio cui dedica tutta la propria vita. «Questo è amore», dice Francesco. E fa un paragone: «I nemici e gli avversari politici anche a nostro parere sembrano disabili ma solo Dio sa se lo sono o no, ma noi dobbiamo amarli, dobbiamo costruire questa civiltà dell’amore, questa società anche con loro. Al contrario le guerre, le divisioni, anche le guerre in famiglie aumentano».
La pandemia, il «coronavirus ci mostra che il vero bene per ciascuno è un bene comune non solo individuale e, viceversa, il bene comune è un vero bene per la persona. Se una persona soltanto cerca il proprio bene è un egoista invece una persona è nobile se apre a tutti. La salute, oltre che individuale, è anche un bene pubblico. Una società sana è quella che si prende cura della salute di tutti. Di tutti».
E insiste: «Un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni. Questo amore può generare strutture sociali che ci incoraggiano a condividere piuttosto che a competere, che ci permettono di includere i più vulnerabili e non di scartarli, e che ci aiutano ad esprimere il meglio della nostra natura umana e non il peggio. Il vero amore non conosce la cultura dello scarto, non sa cos’è lo scarto. Infatti, quando amiamo e generiamo creatività, fiducia e solidarietà, è lì che emergono iniziative concrete per il bene comune. E questo vale sia a livello delle piccole e grandi comunità, sia a livello internazionale. Quello che si fa in famiglia, quello che si fa nel quartiere, nel villaggio, nella grande città, internazionalmente è lo stesso seme che cresce cresce e dà frutto. Se cominci a condividere l’amore e il perdono sarà amore e perdono per tutti».
Il Papa mette in guardia: «Se le soluzioni alla pandemia portano l’impronta dell’egoismo, sia esso di persone, imprese o nazioni, forse possiamo uscire dal coronavirus, ma certamente non dalla crisi umana e sociale che il virus ha evidenziato e accentuato. Quindi, state attenti a non costruire sulla sabbia! Per costruire una società sana, inclusiva, giusta e pacifica, dobbiamo farlo sopra la roccia del bene comune. Il bene comune è una roccia. E questo è compito di tutti, non solo di qualche specialista. San Tommaso d’Aquino diceva che la promozione del bene comune è un dovere di giustizia che ricade su ogni cittadino».
Bisogna riprendere spingere la buona politica a mettere al centro la persona umana e il bene comune. «Se voi leggete la storia dell’umanità dove avete tanti politici santi che sono andati per questa strada. È possibile nella misura in cui ogni cittadino e, in modo particolare, chi assume impegni e incarichi sociali e politici, radica il proprio agire nei principi etici e lo anima con l’amore sociale e con amore politico. I cristiani, in modo particolare i fedeli laici, sono chiamati a dare buona testimonianza di questo e possono farlo grazie alla virtù della carità, coltivandone l’intrinseca dimensione sociale».
Va accresciuto «il nostro amore sociale, voglio sottolineare questo, il nostro amore sociale, contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti. Se ognuno ci mette del suo, e se nessuno viene lasciato fuori, potremo rigenerare relazioni buone a livello comunitario, nazionale, internazionale e anche in armonia con l’ambiente». E i nostri gesti renderanno «visibile qualcosa dell’immagine di Dio che portiamo in noi, perché Dio è Trinità, Dio è Amore».
Con l’aiuto di Dio, conclude il Papa «possiamo guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune, non solo per il mio bene, ma per il bene comune di tutti».