Conclude l'udienza con il ricordo di don Roberto Malgesini, «sacerdote della diocesi di Como che ieri mattina è stato ucciso da una persona bisognosa che lui stesso aiutava. Una persona malata di testa. Mi unisco al dolore e alla preghiera dei suoi familiari e della comunità comasca e, come ha detto il suo vescovo, rendo lode a Dio per la testimonianza, cioè per il martirio di questo testimone della carità verso i più poveri. Preghiamo in silenzio per don roberto Malgesini e per tutti i preti, suore, laici, laiche che lavorano con le persone bisognose e scartate dalla società».
Nel corso dell'udienza aveva messo a fuoco il tema della cura della casa comune continuando il ciclo di meditazioni sul tema “Guarire il mondo”. Torna a parlare della pandemia e della necessità, per uscirne, di «curarsi e curarci a vicenda». È necessario, dice il Pontefice, «sostenere chi si prende cura dei più deboli, dei malati, degli anziani. C’è l’abitudine di lasciare da parte gli anziani. È brutto questo. Queste persone – ben definite dal termine spagnolo “cuidadores”, coloro che si prendono cura dei malati», custodi, potremmo dire in italiano, «svolgono un ruolo essenziale nella società di oggi, anche se spesso non ricevono il riconoscimento e la rimunerazione che meritano. Il prendersi cura è una regola d’oro del nostro essere umani, e porta con sé salute e speranza. Prendersi cura di chi è ammalato, di chi ha bisogno, di chi è lasciato da parte questa è una ricchezza umana e anche cristiana».
Una cura che va rivolta alla casa comune, dice più volte il Papa citando la Laudato si’. Casa comune che comprende «la terra e ogni creatura. Tutte le forme di vita sono interconnesse, e la nostra salute dipende da quella degli ecosistemi che Dio ha creato e di cui ci ha incaricato di prenderci cura. Abusarne, invece, è un peccato grave che danneggia e che fa ammalare. Il migliore antidoto contro questo uso improprio della nostra casa comune è la contemplazione. Ma come mai? Non c’è un vaccino per questo? Per la cura della casa comune, per non lasciarla da parte? Qual è l’antidoto alla malattia di non prendersi cura della casa comune? La contemplazione».
Il Papa parla anche della notizia letta proprio sui giornali di oggi dei due ghiacciai che vanno sciogliendosi e che, se non si interviene in tempo, porteranno morte e devastazioni e sottolinea che lo sfruttamento nasce proprio dalla incapacità di fermarsi a contemplare il bello. Una persona d’azione, che cura la casa comune è una persona che ha visto e contemplato la bellezza della natura e quindi anche degli esseri umani. Al contrario «quando non si impara a fermarsi ad ammirare e apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli, anche in oggetto di usa e getta. Tuttavia, la nostra casa comune, il creato, non è una mera “risorsa”. Le creature hanno un valore in sé stesse e riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio. Questo valore e questo raggio di luce divina va scoperto e, per scoprirlo, abbiamo bisogno di fare silenzio, abbiamo bisogno di ascoltare, abbiamo bisogno di contemplare. La contemplazione guarisce l’anima».
Una sbagliata interpretazione dei testi biblici sulla creazione, denuncia il Papa «ha contribuito a questo sguardo sbagliato, che porta a sfruttare la terra fino a soffocarla. Sfruttare il creato, questo è peccato. Crediamo di essere al centro, pretendendo di occupare il posto di Dio; e così roviniamo l’armonia del creato, l’armonia del disegno di Dio. Diventiamo predatori, dimenticando la nostra vocazione di custodi della vita. Certo, possiamo e dobbiamo lavorare la terra per vivere e svilupparci. Ma il lavoro non è sinonimo di sfruttamento, ed è sempre accompagnato dalla cura: arare e proteggere, lavorare e prendersi cura… Questa è la nostra missione. Non possiamo pretendere di continuare a crescere a livello materiale, senza prenderci cura della casa comune che ci accoglie. I nostri fratelli più poveri e la nostra madre terra gemono per il danno e l’ingiustizia che abbiamo provocato, e reclamano un’altra rotta, reclamano da noi una conversione, un cambio di strada, prenderci cura della terra, del creato».
Recuperare la dimensione contemplativa è importante perché senza è solo contemplando «che scopriamo negli altri e nella natura qualcosa di molto più grande della loro utilità. Qui è il nocciolo del problema. Contemplare è andare oltre l’utilità, contemplare il bello è gratuito. Scopriamo il valore intrinseco delle cose conferito loro da Dio. Come hanno insegnato tanti maestri spirituali, il cielo, la terra, il mare, ogni creatura possiede questa capacità iconica o mistica di riportarci al Creatore e alla comunione con il creato. Ad esempio, Sant’Ignazio di Loyola, alla fine dei suoi Esercizi spirituali, invita a compiere la “Contemplazione per giungere all’amore”, cioè a considerare come Dio guarda le sue creature e gioire con loro; a scoprire la presenza di Dio nelle sue creature e, con libertà e grazia, amarle e prendersene cura. La contemplazione, che ci conduce a un atteggiamento di cura, non è un guardare la natura dall’esterno, come se noi non vi fossimo immersi. Noi siamo dentro la natura, siamo parte della natura. Si fa piuttosto a partire da dentro, riconoscendoci parte del creato, rendendoci protagonisti e non meri spettatori di una realtà amorfa che si tratterebbe solo di sfruttare».
Chi invece «non sa contemplare la natura e il creato non sa contemplare le persone nelle proprie ricchezze e chi vive per sfruttare la natura finisce per sfruttare la gente e trattarla come schiavi. Questa è una legge universale. Se non sai contemplare la natura sarà difficile che saprai contemplare la gente, la bellezza delle persone, del fratello della sorella. Chi sa contemplare, più facilmente si metterà all’opera per cambiare ciò che produce degrado e danni alla salute. Si impegnerà a educare e promuovere nuove abitudini di produzione e di consumo, a contribuire ad un nuovo modello di crescita economica che garantisca il rispetto per la casa comune, il rispetto per le persone. Il contemplativo in azione tende a diventare custode dell’ambiente».
Infine, è bello questo, ognuno di noi deve essere custode dell’ambiente, della purità dell’ambiente, cercando di coniugare saperi ancestrali di culture millenarie con le nuove conoscenze tecniche, affinché il nostro stile di vita sia sostenibile.
Papa Francesco conclude sottolineando che «contemplare e prendersi cura» sono due atteggiamenti che mostrano la via per correggere e riequilibrare il nostro rapporto di esseri umani con il creato. Tante volte il nostro rapporto con il creato sembra essere un rapporto tra nemici: distruggere il creato a mio profitto, sfruttare il creato a mio profitto».
Dobbiamo invece creare un rapporto «fraternale con il creato» per diventare «custodi della casa comune, custodi della vita e custodi della speranza». E per lasciare alle generazioni future un patrimonio di cui godere. È un compito che spetta a tutti anche se in questo momento sono i popoli indigeni a portarlo avanti, «movimenti, associazioni, gruppi popolari, che si impegnano per tutelare il proprio territorio con i suoi valori naturali e culturali.
Non sempre queste realtà sociali sono apprezzate, a volte sono persino ostacolate perché non producono soldi; ma in realtà contribuiscono a una rivoluzione pacifica, potremmo chiamarla la “rivoluzione della cura”. Contemplare per curare, per custodire noi il creato i nostri figli i nostri nipoti, il nostro futuro».