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lunedì 14 ottobre 2024
 
Udienza
 

Il Papa: «Dio non si spaventa dei nostri peccati, ma della chiusura del cuore»

19/01/2022  Francesco continua la catechesi su San Giuseppe parlando della sua tenerezza di padre. E invita a pregare per i detenuti che devono poter avere una finestra di speranza, una possibilità di redenzione. Infine un pensiero ai lavoratori AirItaly che rischiano di rimanere disoccupati

Giuseppe padre della tenerezza. Papa Francesco approfondisce questo aspetto della figura di San Giuseppe continuando il ciclo di catechesi sullo sposo di Maria. Riprende quanto scritto già nella Lettera Apostolica Patris corde  dell’8 dicembre 2020. I Vangeli, spiega il Papa, «non ci danno particolari su come egli abbia esercitato la sua paternità, però possiamo stare certi che il suo essere uomo “giusto” si sia tradotto anche nell’educazione data a Gesù». Ma Luca scrive che «Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». È quello che «il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare”». Ed è «bella questa definizione della Bibbia che dice anche del rapporto di Dio con il popolo di Israele».

Francesco spiega la tenerezza ricordando che Gesù ha frequentemente usato al parola padre e raccontando ancora la parabola del figliol prodigo. Il Pontefice fa riferimento alla storia messa in scena, in teatro, da  un gruppo di ragazzi pop. In quell’opera, dice il Pontefice, quando il figliol prodigo confida all’amico che vuole tornare, ma ha paura della reazione del padre, l’amico gli suggerisce di mandare avanti un messaggero. Se il padre ha voglia di riaccogliere il figlio dovrà solo mettere un fazzoletto bianco alla finestra come segnale che il figlio può avvicinarsi. Ma quando il ragazzo fa l’ultima curva per arrivare al palazzo lo vede interamente coperto di fazzoletti bianchi. È questa la tenerezza di Dio. Perché, spiega il Pontefice, Dio non si spaventa dei nostri peccati: «Non dobbiamo mai dimenticare che Dio non è spaventato dai nostri peccati, mettiamoci questo bene nella testa, Dio non si spaventa dei nostri peccati, non è spaventato dai nostri errori, dalle nostre cadute, ma è spaventato dalla chiusura del nostro cuore, questo sì lo fa soffrire, la nostra mancanza di fede nel suo amore. C’è una grande tenerezza nell’esperienza dell’amore di Dio. Ed è bello pensare che il primo a trasmettere a Gesù questa realtà sia stato proprio Giuseppe. Infatti le cose di Dio ci giungono sempre attraverso la mediazione di esperienze umane».

Possiamo chiederci se anche noi abbiamo fatto esperienza di questa tenerezza. E il Papa ricorda anche il lavoro dei medici, degli infermieri che toccano, con tenerezza, le ferite. «La tenerezza», sottolinea, «non è prima di tutto una questione emotiva o sentimentale: è l’esperienza di sentirsi amati e accolti proprio nella nostra povertà e nella nostra miseria, e quindi trasformati dall’amore di Dio».

Dio, insiste Francesco, «non fa affidamento solo sui nostri talenti, ma anche sulla nostra debolezza redenta». In questo gioca un ruolo anche la nostra fragilità, come spiega San Paolo: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi […]. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”».

È il Maligno che ci fa guardare «”con giudizio negativo la nostra fragilità”», sottolinea il Papa citando la Patris corde, «mentre lo Spirito Santo “la porta alla luce con tenerezza”». Ed è «la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. […] Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona».

Il Papa pensa anche ai «fratelli e sorelle carcerati, e alla importanza della «rivoluzione della tenerezza» senza la quale «rischiamo di rimanere imprigionati in una giustizia che non permette di rialzarsi facilmente e che confonde la redenzione con la punizione». Il Pontefice invita a pregare per chi è in carcere perché se «è giusto che chi ha sbagliato paghi per il proprio errore, è altrettanto giusto che chi ha sbagliato possa redimersi dal proprio errore. Non possono esserci condanne senza finestra di speranza, qualsiasi condanna ha sempre una finestra di speranza». Come ogni mercoledì papa Francesco recita la preghiera a San Giuseppe che riportaimo integralmente. Nei saluti finali, poi, non manca di dare attenzione alle vittime dell'eruzione vulcanica nell'isola di Tonga e ai lavoratori di AirItaly auspicando «che la loro situazione lavorativa possa trovare una positiva soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie; è importante custodire i diritti lavorativi di tutti».

E infine, come ogni mercoledì, recita la preghiera a San Giuseppe

San Giuseppe, padre nella tenerezza,

insegnaci ad accettare di essere amati proprio in ciò che in noi è più debole.

Fa’ che non mettiamo nessun impedimento

tra la nostra povertà e la grandezza dell’amore di Dio.

Suscita in noi il desiderio di accostarci al Sacramento della Riconciliazione,

per essere perdonati e anche resi capaci di amare con tenerezza

i nostri fratelli e le nostre sorelle nella loro povertà.

Sii vicino a coloro che hanno sbagliato e per questo ne pagano il prezzo;

aiutali a trovare, insieme alla giustizia, anche la tenerezza per poter ricominciare.

E insegna loro che il primo modo di ricominciare

è domandare sinceramente perdono.

Amen.

 
 
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