Quel marchio non s’ha da usare: quella catena di ristoranti, la mafia siede a tavola, è in contrasto con i valori fondanti dell’Unione Europea. Offende chiunque abbia un normale grado di sensibilità. Parole nette, chiare, decise. Le ha scritte, pochi giorni fa, la nona sezione del Tribunale Ue (Lussemburgo) mettendo la parola fine a una controversia, di ricorsi e contro ricorsi, tra Italia e Spagna proprio a causa di una catena di ristoranti spagnola che usava la mafia come marchio. Nella sentenza favorevole all’Italia e all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, il Tribunale ha respinto l’ultimo tentativo della catena spagnola dalla ragione sociale evocativa, La mafia franchises SL, ha dichiarato nullo il suo marchio e l’ha condannata a pagare le spese legali.
Ma al di là della singola decisione, la cosa davvero importante sono gli argomenti con cui la sentenza è stata motivata. Del pessimo gusto della catena, come di tanti altri casi simili. avevamo parlato più volte a tempo debito, anche denunciando il silenzio e la sottovalutazione dell’Europa, che per anni ha dato l'impressione di considerare la questione un problema italiano e in second’ordine un problema di mera natura commerciale e non, come invece, è un problema culturale (e criminale) che riguarda in pieno l’Europa, come ha dimostrato nel 2007 la strage di Duisburg e come tuttora lascia supporre il caso dell’omicidio del giornalista Kuciak che sta facendo tremare le istituzioni polacche.
La sentenza T-1/17, per come ha messo nero su bianco alcuni concetti importanti, dimostra finalmente un passo avanti, in termini di consapevolezza del fenomeno. La parola mafia, ben in evidenza nel marchio dei ristoranti spagnoli, è da tutti identificata, scrivono i giudici, come «riferimento ad un’organizzazione criminale con origini in Italia e le cui attività si sono estese a Stati diversi dalla Repubblica italiana, in particolare all’interno dell’Unione». È noto, del resto, che la mafia «ha fatto ricorso all’intimidazione, alla violenza fisica e all’omicidio al fine di svolgere le sue attività, che comprendono segnatamente il traffico illecito di droghe, il traffico illecito di armi, il riciclaggio di denaro e la corruzione. Il Tribunale ritiene che simili attività criminali violino i valori stessi sui quali si fonda l’Unione, in particolare, i valori del rispetto della dignità umana e della libertà».
Valori indivisibili, scrivono i giudici, che «costituiscono il patrimonio spirituale e morale dell’Unione». I giudici europei sottolineano in partcolare che la criminalità organizzata e le sue attività costituiscono «un tipo di criminalità particolarmente grave e trasnazionale» e che per «lottare contro la mafia sono impiegate considerevoli energie e risorse non soltanto dal governo italiano, ma anche a livello dell’Unione, giacché la criminalità organizzata rappresenta una minaccia seria per la sicurezza in tutto il suo territorio». A riprova dell'importanza del problema la sentenza cita l’impegno dell’Italia nella lotta alla mafia, sia attraverso l'apparato normativo e repressivo dello Stato, sia attraverso l'antfimafia sociale.
Alla catena di ristoranti che si difendeva dicendo di non aver voluto choccare nessuno e di aver fatto in sostanza del folklore i giudici hanno riposto rincarando la dose e ribaltando in negativo l'argomento: «il marchio contestato, considerato complessivamente, rinvia ad un’organizzazione criminale, trasmette un’immagine globalmente positiva di tale organizzazione e, pertanto, banalizza i gravi attacchi sferrati da detta organizzazione ai valori fondamentali». Basta questo a renderlo adatto a «a scioccare o offendere, non solo le vittime di mafia e le loro famiglie, ma anche chiunque, nel territorio dell’Unione, si trovi di fronte quel marchio e abbia un normale grado di sensibilità e tolleranza».
La sentenza ha suscitato il plauso di chi da anni denunciava come noi il problema: da Coldiretti, preoccupata del messaggio che da sempre infanga l'Italia e i prodotti italiani a Rosy Bindi, presidente dell'ultima Commissione antimafia, che già dal 2014 aveva sollecitato il Ministero degli esteri ad agire in sede legale sulla questione: «Con questa sentenza l'Europa fa un passo avanti e ci aiuta a far capire che la battaglia contro le mafie è soprattutto culturale».
E ci permettiamo di aggiungere che si comincerà a vincerla quando i cittadini cominceranno a voltare le spalle ai ristoranti valutando oltre alla qualità del cibo il buon gusto del logo e del contesto.