Umberto Eco, in tocco, toga e bavaglino, a margine della cerimonia in cui ha tenuto la sua lectio magistralis da laureato honoris causa in Comunicazione all’Ateneo torinese, l’ha detta grossa: “La Rete dà diritto di parola a legioni di imbecilli, che prima avrebbero parlato solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso, senza far danni alla società”. Anche perché , come precisa lo stesso Eco esemplificando in dialetto piemontese, agli stessi tavolini seduta stante sarebbero stati azzittiti al grido di “Ti tàs”: “Ma taci”. Il danno alla società dunque non verrebbe secondo Eco dalle opinioni in sé, che ci sono sempre state, ma dal fatto che sbarchino su una vetrina planetaria che rende molto più complicato relegarle ai margini, come inattendibili.
Ogni avventore di Internet, è inevitabile, punto sul vivo, potrebbe essere tentato di liquidare le parole di Eco come l’espressione di una cultura antiquata, esemplificata proprio dai riti del tocco e della toga, ma sarebbe prendere una cantonata: Umberto Eco è da sempre uno studioso della comunicazione con tutti i mezzi, è l’inventore di Encyclomedia, un’enciclopedia digitale multimediale che apre a ventaglio, con tutti gli strumenti che il digitale offre, sul concetto più interdisciplinare ed evoluto di sapere. Ciò non toglie che il rischio di sentirsi punzecchiati colpisca tutti. Chi di noi potrebbe dire di non avere mai, per fretta per superficialità per un attimo di distrazione, affidato alla Rete un commento poco sorvegliato per poi pentirsene, perché in Rete tutto torna come un peperone mal spellato e maldigerito? In tutta onestà probabilmente nessuno.
Resta il fatto che Eco pone, forse non a caso con parole dirette che “acchiappano” in Rete - dinostrando di dominare il mezzo -, un problema serio. Essendo la Rete una vetrina aperta a tutti, contiene e diffonde di tutto: studi di grande valore scientifico e tecnico quanto patacche colossali, opinioni di massimi esperti a tutti accessibili tanto quanto bufale sesquipedali, nonché l’intero campionario delle vie di mezzo. Tutto questo, in orizzontale, senza una gerarchia, senza una mappa di credibilità a priori.
Il rischio reale è che un navigante poco avvisato, più o meno nativo digitale, metta tutto sullo stesso piano, senza riuscire a distinguere, e che creda senza un preciso criterio all’opinione che meglio assomiglia alle sue sensazioni, alle sue empiriche emozioni, indipendentemente dal fatto che sia o meno fondata. Con le sue parole forti Umberto Eco ha mandato un avviso ai naviganti, per invitarli a navigare con la testa anziché con la pancia: perché dando retta solo alla seconda staremmo ancora a credere alla terra piatta che gira intorno al sole.
Va da sè che la sfida non è azzittire chi parla, ma irrobustire la capacità critica di chi ascolta.