A Sephoris, pochi
chilometri da Nazareth, Israele sperimenta un'oasi di dialogo, di rispetto reciproco e di integrazione: all'interno di un moshav ebraico, in una lingua di
terra in cui gli arabi musulmani sono in prevalenza, tre suore missionarie e
una trentina di educatori di diversa provenienza, con il "placet" del Governo israeliano, accolgono bambini e ragazzi senza distinzioni etniche o
religiose.
Nelle settimane in cui missili e bombardamenti infiammavano Israele
e la striscia di Gaza, nei giorni in cui, tra tensioni e minacce, l'Onu
riconosceva per la prima volta la Palestina come osservatore non membro, in
questo luogo la vita è trascorsa serena, scandita da piacevoli abitudini.
All'insegna della speranza. La stessa speranza che ha permesso alla Casa
d'accoglienza dell'ordine delle figlie di sant'Anna, giorno dopo giorno per quasi
90 anni, di diventare l'emblema di una convivenza possibile. A prescindere dal
contesto, dalla vicinanza dei conflitti, dai pregiudizi.
A Sephoris, drusi,
beduini, cristiani, ebrei, musulmani giocano e mangiano insieme, dormono e
parlano insieme, discutono e sorridono insieme. Gli uni affianco agli altri,
comunque insieme. Duecento bambini e adolescenti, tra gli 0 e i 17 anni, accomunati
dalla perdita/abbandono dei genitori, destinati in affido o con gravi problemi
familiari hanno trovato nella Casa d'accoglienza un punto di riferimento
sicuro, un'ancora di salvezza nel segno del rispetto dell'appartenenza etnica e
religiosa di ciascuno. Merito di chi ci lavora, dedicandosi anima e corpo al
progetto "Bambini di Sephoris", con la consapevolezza che la pace tra
i popoli, sempre più necessaria, passa da esperienze come questa.
Ma questo equilibrio magico, questa atmosfera sospesa, fuori
dal tempo e dallo spazio, rischia di andare in frantumi se non si interviene e
se non lo si fa in fretta. A suonare il campanello d'allarme è Hope onlus,
organizzazione non profit impegnata prevalentemente in Medio Oriente e
specializzata a interventi in contesti multietnici e multireligiosi con
progetti di sviluppo sostenibile nei settori della salute, dell'educazione e
del lavoro a tutela di donne e bambini.
L'edificio che ospita la comunità di
Sephoris porta inequivocabilmente i segni del tempo: con un secolo di vita
sulle spalle, infatti, la Casa d'accoglienza non rispetta più gli standard
minimi di sicurezza, igiene e abitabilità richiesti per una struttura di questo
genere. Ma il tempo stringe e l'alternativa è la sua chiusura. Hope si è già
mobilitata mettendo a punto un piano di emergenza in grado di convincere le
autorità israeliane che il sogno deve proseguire: nella prima fase si è
proceduto con la realizzazione di una nuova cucina suddivisa in otto locali con
le relative apparecchiature. Nella seconda fase è stato predisposto un sistema
anticendio. Ora c'è un ultimo scalino da superare: la ristrutturazione del
primo piano dell'antico orfanotrofio, quell'area che oggi ospita l'alloggio dei
bambini più piccoli.