Oggi è difficile dare torto a chi considera la finanza
un’attività quasi diabolica. Dai “tango bonds” argentini al crac Parmalat,
dalle banche d’affari americane
fallite alle agenzie di rating accusate di connivenza, fino agli speculatori
immobiliari, la finanza mondiale sembra davvero un circolo di manager avidi e
senza scrupoli, che si
arricchiscono alle spalle dei piccoli risparmiatori. Chi ancora ha qualche
soldo da investire è disorientato, diffidente e…tentato dal materasso. Forse
invece è proprio questo il momento di scoprire che una finanza etica esiste
davvero, e che anzi può essere la
risposta giusta alle turbolenze del mercato. Da anni ormai, infatti, i prodotti
finanziari attenti alla dimensione sociale offrono rendimenti pari o anche superiori ai prodotti “classici”.
Il prodotto etico
più diffuso è il fondo comune d’investimento, accessibile anche a budget limitati. Può essere
composto da titoli pubblici, da obbligazioni o di azioni, oppure misto. Le
azioni ovviamente sono più rischiose, come per qualunque fondo.
In che cosa sono diversi dagli altri? Si distinguono tre tipi
di approccio: la beneficenza, che devolve
una quota dei guadagni a cause sociali; l’esclusione, che rifiuta di investire
in settori economici ritenuti contrari all’etica, tipicamente le armi, ma anche
il tabacco e le produzioni altamente inquinanti , oppure i titoli di Stato che
adottano la pena di morte; infine la selezione, che punta ” in positivo” su
aziende socialmente responsabili, quotate nelle Borse mondiali. Criteri di
scelta vincolanti non ce ne sono per scegliere i titoli; la maggioranza dei fondi si affida a indici etici
internazionali, che offrono panieri già pronti di aziende, o di Stati, sui
quali puntare.
Gli indici più autorevoli al mondo sono il
Dow JonesSustainability Index e l’indice
Ftse4Good della Borsa di Londra. C’è anche un indice europeo, l’
Ethical Index
Euro, e due indici di Borsa Italiana, lanciati nel 2010. Per entrare in questi
indici le aziende devono dimostrare di
rispettare i diritti dei lavoratori,
anche quelli impiegati nelle fabbriche del Terzo Mondo; di rispettare
l’ambiente, riducendo l’inquinamento, promuovendo il riciclo e il riuso,
evitando la deforestazione selvaggia per produrre legname o carta e così via; infine, di aiutare le comunità
con
iniziative sociali a favore dei più disagiati. A volte, questi indici
vengono accusati di fidarsi troppo
delle dichiarazioni ufficiali delle aziende, senza controllare se corrispondono
alla verità.
È però vero che
tutti vengono aggiornati, di
solito ogni anno, includendo aziende nuove ed eliminando quelle ritenute non più
meritevoli. E in ogni caso, come piccoli risparmiatori non abbiamo scelta,
visto che non possiamo indagare da soli sulle multinazionali.
L’ultima frontiera dell’investimento etico è ancora tutta da
scoprire. Si chiama
“Impact investing“, nasce per iniziativa del primo
ministro inglese Cameron e di un ex dirigente di Goldman Sachs, oggi capo della
Big Society Bank, una banca dedicata allo sviluppo della società civile. Se ne è
parlato al recente
Salone del risparmio, durante un
incontro organizzato da Vita, il settimanale della solidarietà. Si tratta di
investimenti in aziende che con la propria attività contribuiscono al
miglioramento del benessere collettivo, quindi vanno oltre la responsabilità
sociale. Esempi tipici,
l’energia rinnovabile o l’agricoltura biologica, ma c’è
anche
l’housing sociale o i servizi sanitari accessibili. Senza limiti alla
fantasia. In Italia però l’impact investing non è ancora disponibile per il
pubblico, ma solo per investitori professionali. Non resta che aspettare.
Non è un caso che il terremoto finanziario
mondiale del 2008 abbia dato il via a una fioritura di proposte d’investimento
socialmente responsabili. Negli Stati Uniti, Paese epicentro della crisi, i
capitali investiti in questo modo sono triplicati negli ultimi tre anni,
passando da 200 a 600 milioni di dollari. L’effetto è stato forte anche in
Europa, dove, secondo l’analisi della società di ricerca Vigeo, solo nel 2008 - l’anno nero, quello del fallimento di Lehman Brothers -
sono nati 100 nuovi fondi d’investimento etici; nei due anni successivi,
altri 342. Nel 2010 erano 879, il
doppio del 2007. Poi si sono stabilizzati e oggi se ne contano 886. In testa
alla classifica ci sono il Belgio e la Francia, con 460 fondi, oltre la metà
del totale.
In Italia la finanza etica è nata in ritardo e ha un’incidenza
ancora molto limitata. Inoltre, non ha seguito il resto del mondo nella
crescita degli ultimi anni. I fondi comuni italiani censiti da Vigeo sono solo
15. In compenso abbiamo la Banca Etica, specializzata nel finanziare attività
di alto valore sociale, e la sua
controllata Etica Sgr, che propone
solo fondi socialmente responsabili. Inoltre, c’è un’ampia scelta di
fondi esteri commercializzati nel nostro Paese. Assogestioni, l’associazione
delle società di gestione del risparmio italiane, ha contato complessivamente
40 prodotti disponibili sul mercato italiano. A seconda della propensione al
rischio, si può investire in titoli di stato, che rendono meno ma sono (quasi)
sicuri, obbligazioni, o azioni, che danno maggiori possibilità di guadagno ma
anche un più alto rischio di perdere il capitale. Anche le aziende socialmente
responsabili, infatti, possono “andare
in rosso”. In ogni caso, dietro le società di gestione ci sono sempre importanti banche:
attualmente in Italia, oltre a Banca Etica, abbiamo Intesa San Paolo (Eurizon Capital), Unicredit (Pioneer
Investments), Banco Popolare (Aletti Gestielle), Banche di Credito Cooperativo (Aureo Gestioni) e Banca
Sella (Sella Gestioni). Questo garantisce la serietà e professionalità degli
operatori.
Ugo Biggeri è il presidente di Banca Etica. Come definisce l'ente che dirige?
«E’ una banca che persegue finalità di benessere collettivo, e
lo dimostra informando costantemente i risparmiatori su quello che fa. Noi mettiamo su internet tutti i
progetti che finanziamo (abbiamo verificato: nel web si possono vedere 919 progetti aggiornati al primo aprile, e ciò unicamente riferito alla Lombardia, ndr.)».
Quanto al benessere collettivo,
dobbiamo pensare che le altre banche non
se ne occupano?
«Ci sono banche più sensibili, quelle cooperative ad esempio (noi stessi lo siamo). Ma in
generale, oggi le grandi banche non hanno più come attività principale quella
originaria di sostenere l’economia raccogliendo risparmio e impiegandolo per
finanziare le imprese. Vivono invece di commissioni e di investimenti
speculativi».
Che tipi di attività finanziate?
«Per esempio, interventi di efficienza energetica o produzione
di energie rinnovabili; oppure attività agricole su terreno confiscati alle
mafie. Un progetto molto innovativo è l’acquisto di imprese in crisi da parte dei lavoratori uniti
in cooperativa, per rilanciarle. I finanziamenti sono cresciuti del 23%
dall’anno scorso, in un mercato sostanzialmente fermo».
Che possibilità offre Banca Etica al risparmiatore?
«Oltre ai classici prodotti come il conto corrente, si possono
acquistare le nostre obbligazioni, che rendono più dei depositi ,anche se un
po’ meno di quelle delle altre banche. Poi diamo la possibilità di essere
nostri soci, anche con piccole somme. Qui non si guadagna, però, perché tutti
gli utili sono reinvestiti. C’è solo la soddisfazione di dare un contributo al
bene comune. Il valore delle azioni, però, può aumentare di valore nel tempo».
Parlando di fondi comuni, qual è l’offerta di Banca Etica?
«La nostra controllata Etica sgr è specializzata nei fondi
d’investimento etici: gestisce 500 milioni di euro, sottoscritti da quasi
22.000 risparmiatori. Con ottimi risultati: ad esempio il fondo obbligazionario
bilanciato “Valori responsabili” ha ricevuto il prestigioso premio Lipper sia
nel 2010 che nel 2011. Questo dimostra che l’approccio responsabile alla
finanza non comporta di rinunciare a un buon rendimento».