Un attacco nel cuore dell'Europa e alla nostra libertà di vivere sereni. Gli attacchi che hanno sconvolto Bruxelles questa mattina, le esplosioni multiple all'aeroporto di Zaventem e nelle stazioni della metropolitana di Bruxelles,fanno rivivere le tragedie vissute da New York l'11 settembre 2001, da Madrid l'11 marzo 2004, da Londra il 7 luglio 2005, da Parigi il 13 novembre 2015. Bombe che esplodono, lasciano a terra morti e feriti, seminano il terrore, bloccano i trasporti, paralizzano le metropoli. Fin dalle prime ore del mattino di un giorno di primavera Bruxelles diventa la trincea di un'Europa in guerra. In queste ore la capitale del Belgio si trova con l'aeroporto fuori uso e l'intera rete dei trasporti pubblici bloccata. Chiusa anche l'autostrada verso l'aeroporto di Zaventem. La popolazione viene invitata dalla polizia a restare nei luoghi in cui si trova (uffici, scuole, università). In strada non si può sapere che cosa può accadere. Nulla fa escludere la possibilità di nuovi attentati. I treni Thalys ed Eurostar fra Bruxelles e Parigi sono sospesi. Il terrore e le misure di sicurezza si estendono alle altre città del Belgio, ma anche ad Amsterdam e Parigi. In questo mondo interconnesso ci sentiamo tutti più fragili e insicuri. Quello che accade a Bruxelles ci tocca tutti. Gli attentati di oggi a Bruxelles (che hanno provocato decine di morti e feriti, il bilancio non è ancora definito) arrivano pochi giorni dopo la cattura, nel quartiere di Molenbeek, di Salah Abdeslam, il terrorista super ricercato dopo gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi. Arrestato venerdì sera, Abdeslam avrebbe cominciato a collaborare con le autorità belghe, nella speranza di evitare l'estradizione in Francia.
Difficile dire se gli attentati di oggi sono una reazione al suo arresto e quindi anche alla sua volontà di svelare strategie, basi logistiche, forse anche nomi di complici. Se così fosse, sarebbe davvero una risposta fulminea, che lascia sgomenti. Soprattutto per la modalità degli attentati di oggi a Bruxelles. Preparare bombe e colpire in un luogo, come in un grande aeroporto, dove le misure di sicurezza sono di solito elevate, significa che i terroristi dispongono di una organizzazione estesa ed efficiente. Vuol dire contare su arsenali forniti, esperti di esplosivi, nascondigli, mezzi di trasporto, kamikaze pronti al sacrificio. Qui non si tratta delle azioni di cosiddetti “lupi solitari” che, con armi di fuoco o coltelli, colpiscono facili bersagli in strada. Al contrario di quanto avvenuto al Bataclan lo scorso 13 novembre, questa volta i terroristi non hanno cercato la presa di ostaggi.
Hanno solo voluto colpire nel mucchio e uccidere più gente possibile. Bruxelles è da tempo il retroterra dell'estremismo islamico che colpisce in Europa. Il Belgio, in rapporto alla popolazione, è il paese europeo con il maggior numero di propri cittadini che sono andati in Siria e Iraq come “foreign fighters”, combattenti fra i gruppi armati dell'Isis. Difficile dire esattamente quanti siano, non meno di 350, forse più di 500. Dati impressionanti, che dimostrano quanto sia complicata l'integrazione in un paese probabilmente reso più fragile anche dalla sua divisione fra la comunità francofona e fiamminga. Il Belgio, inoltre, si trova in una posizione strategica, nel cuore dell'Europa, facilmente collegato con la Francia, l'Olanda, la Gran Bretagna e la Germania. La base operativa perfetta per chi vuole seminare il terrore fra gli europei.