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Un anno dopo, liberi da Boko Haram

02/06/2015  Al Festival Biblico la testimonianza di don Allegri e don Marta, sacerdoti vicentini ch'erano stati rapiti nel Nord del Camerun.

Da sinistra: don Leopoldo Rossi, don Maurizio Bolzon, don Gianantonio Allegri, don Giampaolo Marta e don Arrigo Grendele, direttore dell'Ufficio missionario della diocesi di Vicenza (foto R. Gobbo).
Da sinistra: don Leopoldo Rossi, don Maurizio Bolzon, don Gianantonio Allegri, don Giampaolo Marta e don Arrigo Grendele, direttore dell'Ufficio missionario della diocesi di Vicenza (foto R. Gobbo).

Un anno fa, il primo giugno, le campane suonarono a festa. Il pubblico del Festival Biblico esplose dalla gioia all’arrivo della notizia della liberazione di don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, fidei donum della Diocesi di Vicenza, e della canadese suor Gilberte Bussière. Per i tre religiosi, rapiti nella notte fra il 4 e il 5 aprile, nel nord del Camerun, da un sedicente gruppo islamico, che si riferiva a Boko Haram, l’incubo era finito.

L’annuncio fu dato da un commosso vescovo Beniamino Pizziol, che la sera precedente, 31 maggio, a conclusione del mese mariano, aveva guidato la processione a Monte Berico dedicando il tradizionale appuntamento ad una preghiera ancora più intensa per i tre rapiti. Da allora, don Giampaolo e don Gianantonio, hanno portato la loro testimonianza ovunque nelle parrocchie. E oggi non sono voluti mancare all’anniversario, partecipando all’incontro “Noi, missionari nella terra di Boko Haram”, con fratel Fabio Mussi del Pime, moderato dalla giornalista Anna Pozzi.

Come ci si sente ad un anno di distanza?

«Quest’anno siamo qui a ricordare, a fare ancora memoria, non solo per noi, che abbiamo vissuto questa vicenda, ma per tenere alta la speranza per il futuro, non solo del nord del Camerun, ma di tutti i Paesi del sud Sahel – ha detto don Gianantonio -. La speranza è che la guerra termini, che in quelle popolazioni resti la possibilità di vita e perché ci sia davvero la riconciliazione tra le varie realtà etniche e religiose. Quello che ci è capitato – l’abbiamo sempre detto – non ci appartiene; appartiene alle persone che ci sono state vicine, appartiene alle popolazioni africane. L’augurio che noi facciamo al Camerun, alla Nigeria, al Ciad… è che la nostra sofferenza e la sofferenza di tutti quanti in quei luoghi hanno subito e subiscono violenza, possa servire al riscatto di quelle popolazioni».

«Stiamo bene e abbiamo vissuto abbastanza serenamente quell’esperienza grazie al fatto di essere stati in tre, di esserci sostenuti a vicenda, di esserci aiutati, di avere pregato assieme, questo ci ha reso più forti nell’affrontare quei momenti – ha aggiunto don Giampaolo -. A distanza di un anno, sento di dover ringraziare ancora il Signore, proprio perché è stata un’esperienza che ci ha segnato, ma che ci ha anche arricchito, ci ha lasciato dei piccoli tesori – la fraternità, la Parola di Dio, l’andare all’essenziale -, sui quali sappiamo di poter contare per vivere bene il nostro servizio qui».

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