La manina di Elif Perinçek, stringe il dito guantato del vigile del fuoco che con i colleghi la sta trasportando su una lettiga al posto di primo soccorso: uno scroscio di applausi liberatori ha salutato il momento in cui il corpo impolverato della bambina di 3 anni è stata estratto dalle macerie della sua causa crollata per la violenta scossa di terremoto di magnitudo 7,0 che ha devastato la provincia di Smirne (Turchia) facendo 100 vittime. Una di esse è un fratellino di Elif, mentre la mamma con altre due fratelli era stata estratta quasi subito. 65 ore è rimasta sepolta tra le mura crollate, ma i suoi lamenti hanno fatto da guida ai soccorritori che non si sono arresi e sono riusciti a trarla in salvo. I capelli biondi, il visetto pallido, in mezzo alle grida dei vigili del fuoco e dei curiosi che si accalcavano intorno a lei, è rimasta in silenzio, un occhio tumefatto e l’altro a fissare stupita quello che accadeva, nessun gesto di disperazione, nessun pianto, solo quella mano che ha cercato il contatto con chi l’aveva salvata. Elif è stata poi trasportata in ospedale, dove l’hanno raggiunta i familiari. Sta bene, solo qualche tumefazione, e la capacità dei bambini di reagire, di salutare l’occhio della telecamera dal lettino in cui c’era una nuova bambola a farle compagnia. I terremoti sono tra i disastri naturali che ci fanno sentire più impotenti: al dramma di chi perde immediatamente la vita si unisce quello di chi è rimasto vivo, ma sommerso dai detriti. C’è l’angoscia delle lunghe ore, a volte giorni, a sentire la vita che pian piano se ne va, in totale solitudine, aggrappati alla speranza che qualcuno riesca a tirarli fuori di lì. E per i sopravvissuti salvataggi come questo che hanno del miracoloso servono a ridare speranza. Chi esce vivo da lì è figlio, fratello di tutti, a maggior ragione se si tratta di una bambina. In salvo anche la quattordicenne Idil Sirin, estratta dalle macerie dopo essere rimasta intrappolata per 58 ore. Sono stati 106 in tutto le persone recuperate dalla macerie. Il sisma ha raggiunto anche l’isola greca di Samos, causando la morte di due ragazzi e numerosi danni agli edifici e anche al campo profughi