Non era certo il governo che tutti si sarebbero augurato prima delle elezioni di febbraio scorso. Il governo Letta, figlio di una pessima legge elettorale, era l’unica via percorribile per evitare al Paese uno stallo da incubo. Frutto di un’innaturale intesa (o “inciucio”) tra due partiti che, per vent’anni, si sono combattuti come nemici per “impossessarsi” delle istituzioni, facendosi terra bruciata attorno, al grido di “non si fanno prigionieri”. Tutto il contrario di una normale democrazia che, nell’equilibrio dei poteri, si fonda sul rispetto dell’opposizione e del suo ruolo di pungolo e controllo.
Il governo Letta – come hanno detto i suoi fautori - è nato grazie alla responsabilità dei partiti e per il bene del Paese. Alle parole, però, non sono seguiti i fatti a favore dei giovani disoccupati, delle famiglie sempre più povere e dei lavoratori in difficoltà. Abbiamo assistito, invece, a un insopportabile stillicidio di continui ricatti e minacce, senza badare alla gravissima emergenza economica, che tale resta nonostante qualche timido segnale di ripresa all’orizzonte. Così, ogni pretesto è buono per far cadere il governo Letta: prima l’Imu sulla casa e ora l’agibilità politica di Berlusconi dopo una condanna in terzo grado per evasione fiscale.
Chi dovesse assumersi la responsabilità di immediate elezioni, lasciando il Paese senza governo e in balia di una rissosa campagna elettorale, per salvaguardare interessi di parte o personali, farebbe un pericoloso gioco d’azzardo che porterà solo caos e macerie per tutti. Non ci saranno né vincitori né vinti. Il Paese sarà, ancor più, in un pericoloso stallo, senza vie d’uscita, grazie al vergognoso “porcellum” che, da anni, paralizza la politica italiana. Al momento, l’“innaturale” governo Letta non ha alternative, è una strada obbligata dalle circostanze. Comunque, un’opportunità da sfruttare al meglio. Quindi, più che continuare a scansare trame e intrighi per “tirare a campare”, sarebbe bene che il “temporeggiatore” Letta spingesse l’acceleratore su alcuni provvedimenti necessari per il bene di tutti, fino alla guida italiana del semestre europeo, per evitare al Paese ulteriore discredito internazionale. Per poi dare la parola ai cittadini con una nuova legge elettorale.
Ai partiti, nel frattempo, è richiesto il massimo di responsabilità, senza inutili impuntature, se davvero sta a cuore il bene del Paese, come continuano a dire, ma con scarsa credibilità. Per il Pdl si tratterebbe di capire che una storia politica è finita per sempre, nonostante i disperati tentativi di rianimazione e di ritorno al passato. Sarebbe tempo, invece, di voltare pagina e pensare al dopo Berlusconi, prima che la destra si sfaldi del tutto.
Il Pd, da parte sua, deve dimostrare di non essere un’armata Brancaleone, litigiosa e inconcludente, tra surreali dibattiti su congressi, regole, date e candidati, mentre il Paese affonda tra mille problemi. E un partito che confonde le primarie con le politiche, alla ricerca infinita di un vero leader, da delegittimare un minuto dopo averlo eletto. Forse neanche Renzi, per molti il “cavallo di Troia” di Berlusconi per scompigliare il campo del Pd, sfuggirà alla stessa sorte. D’altronde, in un partito dove non s’è mai fatta chiarezza sui 101 “congiurati” che hanno impallinato Prodi nella corsa al Quirinale, c’è da aspettarsi di tutto.
In assenza di rigore etico e rispetto delle istituzioni non potrà esserci ripresa per il Paese. Soprattutto se si violano princìpi fondamentali, secondo i quali la legge è uguale per tutti e le sentenze vanno rispettate e applicate. Non si può pretendere dal Colle un segnale o un “salvacondotto” che minano l’uguaglianza di tutti i cittadini. Ne andrebbero di mezzo la credibilità e, ancor più, il prestigio di un presidente come Napolitano, amato e stimato da tutti per essere stato, in questi turbolenti anni, un vero baluardo delle istituzioni e della democrazia in Italia.