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mercoledì 09 ottobre 2024
 
Il caso
 

Un "baratto" politico dietro la grazia a Zaki?

20/07/2023  L'atto di clemenza del presidente egiziano Al Sisi, avvenuto il giorno dopo la condanna dello studente Patrick Zaki, potrebbe essere la merce di scambio per silenziare definitivamente il caso Regeni e per ottenere importanti vantaggi economici dal nostro Paese?

Patrick Zaki è finalmente un cittadino libero. ll presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi ha concesso infatti la grazia  e il permesso di espatrio al trentaduenne studente egiziano, cristiano copto, iscritto all'Università di Bologna. Una decisione presa in tempi rapidissimi, che arriva giusto il giorno dopo la condanna a 3 anni di carcere che la corte speciale aveva inflitto all'attivista per “diffusione di notizie false” per alcuni articoli scritti sui social.  Condanna che non era appellabile e che aveva portato ieri al suo arresto immediato nell'aula del tribunale. Dei 3 anni, avrebbe dovuto scontare ancora 14 mesi.

Una bella notizia, la fine di un vero e proprio incubo, dopo tre anni di attese e speranze deluse. Dopo le tante richieste e appelli di rilascio respinte e altrettanti rinvii  ingiustificati del processo. In questo lungo periodo la sua difesa ha più volte sollevato preoccupazioni riguardo alle presunte violazioni dei diritti di Zaki, compresi i maltrattamenti subiti durante la sua custodia.

   Si tratta indiscutibilmente di un successo diplomatico dell’Italia, che premia il lavoro sottotraccia della nostra intelligence e l’iniziativa politica governativa. Ma la gioia per la liberazione e la giusta soddisfazione per tutti quelli che in Italia (e sono stati davvero molti) si sono spesi, a vario titolo, per raggiungere questo obiettivo, ad iniziare dallo stesso ateneo bolognese, alle associazioni umanitarie, Amnesty International in testa, ai tanti parlamentari, ai media che non hanno mai spostato nel cono d’ombra la vicenda, non possono tralasciare alcune considerazioni di carattere politico più generale e che inquadrano il fatto in un contesto che deve far riflettere.

   Più d’un osservatore ha notato che Al Sisi aveva ottime ragioni per concedere la grazia, e non certo dettate da motivi umanitari. Non dimentichiamoci che l'arresto di Zaki ha attirato l'attenzione a livello internazionale, e molti governi, organizzazioni per i diritti umani e personalità pubbliche hanno condannato la sua detenzione e chiesto il suo rilascio immediato. L’Egitto con il  provvedimento di clemenza nei confronti dello studente copto ha voluto dimostrare la sua “amicizia” nei confronti dell’Italia. E' solo esercizio di dietrologia pensare che  s'aspetti,  in cambio, una risposta altrettanto “amichevole” dal nostro Paese? E su quali questioni? Beh, una è lì sul tavolo da anni e richiama direttamente il caso Zaki: parliamo della vicenda Regeni, spinosissima per il governo egiziano, ma non di meno per quelli italiani. E se fosse stato una specie di “baratto”, di do ut des nel quale io ti libero un “ostaggio” e tu in cambio metti una pietra tombale sul processo Regeni, bloccato in Procura di Roma, salvo un eventuale intervento della Corte Costituzionale) perché l’Egitto, dopo anni di depistaggi, non vuole comunicare ai magistrati italiani le residenze dei quattro agenti ritenuti colpevoli della morte del giovane italiano rapito e fatto scomparire al Cairo nel gennaio del 2016?

Insomma, la libertà per un vivo, per il silenzio su un morto. Con questo e altri atti di clemenza clamorosi (prima una condanna e subito dopo la grazia) pubblicizzati ieri, il governo del generale Al Sisi  tenterebbe, anche, di tacitare le montanti proteste del’opinione pubblica interna ed internazionale per le migliaia di prigionieri politici ancora incarcerati e torturati nelle prigioni egiziane, senza processo. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che fin dall’inizio ha seguito i casi dei due giovani commenta: «Il rischio del baratto può esserci. Posso capire, infatti, che al Cairo ci sia chi abbia l’intenzione di ottenerlo; ma se l’Italia lo accettasse, sarebbe gravissimo: sui diritti umani non si può decidere su cosa arretrare e su cosa tenere fermo. E chi lo facesse si assumerebbe una responsabilità enorme. Voglio sperare che ciò non accada. Come società civile non lo permetteremo, ma sono convinto che non lo permetterebbero neanche le nostre istituzioni. Non sarebbero tali se accettassero logiche di baratto di tale genere».

Ma ci sono altri “buoni” motivi che potrebbero aver spinto il regime del presidente Al Sisi a graziare Patrick Zaki; e sono, stavolta, di natura economica e richiamano la difficilissima contingenza in cui versa il Paese nord-africano:  l’Egitto sta attraversando una grave crisi economica ed alimentare, con un’inflazione al 38%. Al Sisi teme che scoppi una bomba sociale. Ha la necessità di avere sostegni finanziari e agroalimentari immediati. Anche dall’Italia. E infine c’è la crisi migratoria. Ebbene: domenica 23 luglio avrà luogo a Roma la “Conferenza internazionale sulla migrazione” e Al Sisi potrà presentarsi come “amico” credibile cui il nostro Paese può affidare il controllo dei confini, dietro contropartita economica, ovviamente. Insomma c'è una grazia che attende dei “grazie”.   

 
 
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