Vorrei ricordare un caso dimenticato,
forse perché non fa più notizia in questo
momento. Riguarda la pakistana
Asia Bibi, donna cristiana e madre
di cinque figli, in carcere dal giugno
2009, in una «cella senza finestre»,
come scriveva in una sua famosa lettera. Nei
due precedenti processi le era stata confermata
la pena di morte. Il suo delitto? Aver bevuto,
mentre lavorava nei campi sotto un sole torrido,
acqua di un pozzo con un bicchiere usato
da donne musulmane. Nella discussione
che ne è nata per aver “contaminato l’acqua”,
avrebbe offeso il profeta Maometto. Messa
in carcere, le era stata offerta la libertà se si
fosse convertita all’islam, ma lei ha rifiutato.
Il 14 ottobre scorso c’è stata una terza udienza,
che avrebbe dovuto essere l’ultima, per decidere
la sorte di Asia Bibi. Ma i giudici non hanno
avuto il coraggio necessario per trovare una
soluzione, rinviando tutto a data da destinarsi.
Intanto lei resta in prigione. Le gravi minacce
da parte del radicalismo islamico e dei suoi
imam pare abbiano avuto successo. Questi
avevano avvertito che ci sarebbero state “serie
conseguenze”, sia per i suoi difensori sia per
l’imputata stessa, se ci fosse stata una sentenza
di assoluzione. In casi simili, dei giudici chiamati
a decidere su reati di blasfemia sono stati
assassinati. Altri rischiano la vita ogni giorno
pur di garantire l’amministrazione corretta
della giustizia. Speriamo che nel processo ad
Asia Bibi si arrivi a una sentenza che non sia
condizionata dalla paura delle minacce dei
radicali islamici. E che poi sia garantita a lei, ai
suoi avvocati e ai familiari la protezione necessaria
per continuare a vivere. Mi piacerebbe che
i mass media, specialmente quelli cattolici, si
interessassero ancora di questo caso.
ROMANO D.
Nel mondo c’è una vera e propria persecuzione
nei confronti dei cristiani, che
passa nel silenzio e nell’indifferenza
generale. I casi di credenti presi di mira
da miliziani islamici si moltiplicano
in Paesi come il Sudan, la Nigeria, il
Mali, la Somalia, l’Egitto, l’Eritrea, il Pakistan.
Ma l’elenco è ancora più lungo. Gli attacchi alle
chiese e alle persone provocano distruzioni e
morti, generano paura e terrore, costringendo le
minoranze cattoliche a fuggire dalle proprie terre
abitate da secoli per cercare salvezza altrove.
Testimoniare la fede è sempre più a rischio della
vita. C’è un “genocidio” senza precedenti delle
comunità cristiane in Medio Oriente, anche se
questo termine non piace a papa Francesco. Lo
ritiene riduttivo rispetto alla parola “martirio”,
che è più adatta a quanto avviene sempre più
spesso in tanti Paesi arabi e in Africa.
In un’omelia a Santa Marta, nella memoria
dei santi protomartiri della Chiesa romana, papa
Francesco ha ricordato che «oggi ci sono tanti
martiri, tanti cristiani perseguitati. Pensiamo al
Medio Oriente, cristiani che devono fuggire dalle
persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori». E ha
aggiunto: «Oggi ci sono più testimoni, più martiri
nella Chiesa che nei primi secoli... Pensiamo a
questi nostri fratelli che vivono perseguitati,
che soffrono e che con il loro sangue fanno crescere
il seme di tante chiese che nascono».
Asia Bibi, la mamma pakistana ingiustamente
accusata di blasfemia e condannata a morte, è
diventato un caso simbolo, l’icona della persecuzione
dei cristiani nel mondo. Da sette anni vive
un terribile calvario, sospesa tra vita e morte. Sperava
che l’udienza del mese scorso fosse quella
risolutiva per lei, dopo due condanne a morte.
Ma i giudici della Corte di Islamabad hanno deciso
di non decidere, lasciando lei in prigione e i
suoi familiari (marito e cinque gli) in difficoltà e
nella massima indigenza, nonostante l’assistenza
che fornisce loro una Fondazione, che si fa carico
di tutte le spese, da quelle legali al sostentamento
economico, dall’istruzione dei figli alla loro stessa
sicurezza. Da parte sua, Asia Bibi sopporta la
lunga e terribile attesa dietro le sbarre con la
forza della fede e l’aiuto della preghiera. Sulla sua
pelle si sta giocando un duro confronto con il radicalismo
islamico, per porre fine o modicare un’assurda
legge che miete vittime per una semplice e
spesso infondata accusa di vilipendio all’islam, al
Corano o al profeta Maometto.
Nel novanta per cento dei casi, come sostiene
un legale, colpisce persone accusate falsamente,
per i motivi più disparati, magari per liti private,
senza alcun riferimento alla religione. Tra coloro
che più si sono esposti per annullare la legge sulla
blasfemia ricordiamo il ministro cattolico per le
Minoranze Shahbaz Bhatti, che ha difeso con
coraggio Asia Bibi e che ha pagato con la vita
questo suo impegno. Nel suo testamento spirituale
ha lasciato scritto: «Fin da bambino le spaventose
condizioni in cui versavano i cristiani del
Pakistan mi sconvolsero. Ascoltai un sermone sul
sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la
salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a
quel suo amore donando amore ai nostri fratelli
e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente
dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati
che vivono in questo Paese islamico»