Quando nel 2013 il nuovo arcivescovo di Canterbury Justin Welby arrivò a Lambeth Palace, la storica residenza londinese del primate anglicano, commentò che il palazzo era molto grande. Così un amico gli chiese: «Che cosa te ne farai di tutto questo spazio?». «Lo riempirò di giovani», fu la sua risposta.
Ci vollero un paio d’anni, ma quel sogno è diventato realtà. Ed è una storia interessante da raccontare proprio in questi giorni in cui nella Chiesa cattolica 34 giovani da tutto il mondo partecipano al Sinodo in corso a Roma. Perché a Lambeth Palace – il “Vaticano” degli anglicani – una trentina di giovani sono una presenza fissa, facilmente riconoscibile. Ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo indossano una tunica bianca come quella dei monaci e seguono una regola di vita, ma non sono novizi di un ordine religioso.
Sono invece la Comunità di sant’Anselmo, un programma di formazione spirituale per giovani tra i 20 e i 35 anni voluto proprio dall’arcivescovo Welby; un percorso strutturato intorno alla preghiera, allo studio e al servizio dei poveri a Londra. L’ispirazione è alle comunità monastiche, ma l’esperienza è temporanea e orientata proprio a un discernimento vocazionale a 360 gradi.
UN ANNO CON DIO
«I primi giovani sono arrivati nel settembre 2015», racconta il rettore della comunità, il reverendo Simon Lewis. «Vengono per dieci mesi, lo chiamiamo A Year in God’s Time, un anno secondo il tempo di Dio. Siamo al quarto gruppo, in tutto sono un centinaio i giovani che hanno già vissuto questa esperienza».
La cosa interessante è che sono molti di più quelli che ogni anno chiedono di poter vivere questo cammino. Provengono da tutte le province della Comunione anglicana: dalla Gran Bretagna al Pakistan, dallo Zimbabwe al Canada, dalle Bahamas all’India. Non solo, per precisa volontà di Welby, la Comunità di sant’Anselmo ha anche un respiro ecumenico: nel gruppo vi sono dunque anche giovani luterani, metodisti, mennoniti e cattolici. Del resto a dare un contributo importante alla sua nascita è stata Chemin Neuf, una comunità cattolica francese a vocazione ecumenica a cui l’arcivescovo di Canterbury ha voluto affidare la cura della liturgia nella cappella di Lambeth Palace.
IL TEMPO DELLE DOMANDE
I giovani sono divisi in due gruppi: c’è una comunità residenziale che vive l’esperienza a tempo pieno e un’altra formata da giovani che risiedono a Londra e continuano di giorno a svolgere le proprie attività, per unirsi alla Comunità alla sera e nei week-end. Le storie sono le più diverse: c’è chi sta verificando una chiamata al sacerdozio e alla vita consacrata, ma anche chi vuole semplicemente vivere un tempo forte per porsi delle domande su come far entrare davvero Dio nella propria vita. «Molti alla fine del percorso tornano al lavoro di prima», racconta il reverendo Lewis, «in azienda o nella finanza, nel servizio sanitario o nell’attività di una Ong. Lo fanno, però, con una consapevolezza nuova della propria vocazione cristiana».
Ogni giornata inizia con il “grande silenzio”: dalla sera precedente fino alle 10 del mattino solo silenzio e preghiera. Poi – a seconda delle giornate – vi sono sessioni di approfondimento teologico, momenti di condivisione oppure attività caritative in luoghi significativi: tra i disabili della comunità dell’Arche o con gli alcolisti, tra i rifugiati o nella cappellania di un ospedale.
LA PREGHIERA CON WELBY
I giovani condividono le esperienze quotidiane della vita insieme: anche a Lambeth Palace cucinano, fanno le pulizie o il bucato gli uni per gli altri. E il rapporto con l’arcivescovo? «Welby è il fondatore, anche se ovviamente ha tanti altri ruoli che lo impegnano», racconta il rettore della Comunità. «è davanti a lui che i nuovi membri emettono i loro voti temporanei, con cui si impegnano a seguire la regola di vita durante l’anno. Poi ci sono gli incontri informali tra l’arcivescovo e il gruppo, in alcune serate. E, soprattutto, ogni volta che è a Lambeth Palace, lui partecipa alla nostra preghiera, tre volte al giorno. Dunque la maggior parte del tempo insieme lo trascorriamo a pregare».
ASCOLTARE LA VOCE DI DIO
All’inizio il “grande silenzio” si rivela un’esperienza po’ dura per un gruppo di millennials. «Ma è il cuore della nostra regola di vita», insiste il reverendo Lewis. «La sfida è insegnare loro a utilizzare bene questo tempo; non solo fermare il rumore ma rendere il silenzio un’opportunità per ascoltare nel profondo la voce di Dio».
Raccontiamo al rettore del Sinodo che i vescovi cattolici stanno concludendo a Roma su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Che cosa suggerirebbe loro sulla base dell’esperienza a Lambeth Palace? «Di offrire ai giovani opportunità per avere accesso alla sapienza della tradizione spirituale», ci risponde. «Penso alla tradizione ignaziana, alla frequentazione assidua della Scrittura... Sono strade oggi troppo poco accessibili per questa generazione. Ma sono quelle che possono fare la differenza».