Si apre a Charlevoix, in Canada, il G7 2018, il summit dei sette Paesi più industrializzati del mondo. Al di là dei convenevoli, delle passeggiate fra la natura del Quebec e delle foto di gruppo l’evento si svolge in un clima non facile per i rapporti internazionali. I dazi imposti da Trump sulle importazioni di acciaio e alluminio hanno scontentato tutti e determinato ritorsioni dagli altri Paesi. Anche il dossier Iran avvelena i rapporti. Gli Stati Uniti si sono tirati fuori dal trattato sul nucleare e il premier israeliano Netanyahu ha visitato in questi giorni Berlino, Londra e Parigi per convincere gli europei sui rischi che arriverebbero da Teheran. Rispetto al G7 dello scorso anno a Taormina, dove furono evidenti i disaccordi su immigrazione e cambiamenti climatici, non c’è da aspettarsi grandi progressi.
Le sette democrazie più prospere del pianeta arrivano a Charlevoix affaticate e con leader spesso in affanno per problemi interni. Il volto nuovo sarà quello del presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, alla sua prima uscita internazionale come capo del nuovo governo (o esecutore del contratto di governo fra Lega e Movimento 5 Stelle).
L’ambasciatore Sergio Romano, politologo e saggista, sempre acuto osservatore dei fatti internazionali, constata che per le loro debolezze in questo momento i leader del G7 “sono poco interessanti dal punto di vista della costruzione di una politica globale” e aggiunge che “sembra in qualche modo tramontata” l’idea che da questi vertici internazionali si potesse ricavare una strategia per le sorti del mondo.
Con l’ambasciatore Romano passiamo in rassegna i partecipanti al G7. Giuseppe Conte “sarà visto certamente con curiosità e con qualche preoccupazione per le cose dette dai suoi alleati, in ogni caso è certo che lui sarà quello che imparerà di più da questo incontro”. Donald Trump, secondo Romano, “arriva al G7 alla viglia di una crisi costituzionale in cui gli Stati Uniti sono dentro con un piede a causa delle inchieste sul presidente”. Anche Emmanuel Macron arriva in affanno perché “si sta scontrando con la straordinaria resistenza della società francese contro l’ammodernamento delle sue istituzioni più vecchie e polverose”. Se Macron insisterà su questa strada, l’ambasciatore Romano prevede che “troverà resistenze molto forti”. La premier britannica Theresa May arriva in Canada ancora impigliata nei negoziati per la Brexit. “Lei è sicuramente la più acciaccata fra i leader di questo G7”, osserva Romano. “Credo che anche la May ormai si sia resa conto che la Brexit è stata un errore, perché ha infilato il suo Paese in una specie di labirinto”. Sta certamente in una posizione più favorevole la Cancelliera tedesca Angela Merkel, anche se molti osservatori ormai la vedono alla fine della sua parabola. Sergio Romano non è tra questi: “Con la Merkel mai dire mai, perché ha una straordinaria resistenza e non va dimenticato di come arrivò alla Cancelleria. La Merkel fu promossa al potere da Helmut Kohl e lei si sbarazzò di lui nel giro di poche settimane, mostrando una buona dose di cinismo che non va trascurato”.
Il primo ministro giapponese Shinzo Abe, secondo l’ambasciatore, continua a seguire una sua agenda con un chiaro obiettivo: “riscattare il Giappone da quella condizione di Paese sconfitto che lo ha accompagnato per decenni”. Questo obiettivo è condiviso da gran parte dell’opinione pubblica giapponese, ma si scontra con la superpotenza del fronte asiatico, la Cina.
Il dinamico e brillante padrone di casa di questo G7, il premier canadese Justin Trudeau, viene definito da Sergio Romano “un ragazzaccio intelligente e divertente” che deve fare i conti con l’ingombrante America di Trump. Trudeau ha già detto di attendersi al summit “discussioni franche e talvolta difficili” con Trump sui temi del commercio e dei dazi. Nel linguaggio diplomatico vuol dire che litigheranno.
Grande assente del vertice è la Russia di Putin, esclusa da questi appuntamenti dal 2014, in seguito all’annessione della Crimea. Ma per l’ambasciatore Romano “tenere la Russia fuori dalla porta significa privarsi della possibilità di avere un interlocutore con cui affrontare i problemi che davvero interessano il mondo”.