Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia, fu uccisa e sciolta nell’acido a Milano, nel 2009, per ordine del suo ex compagno, Carlo Cosco, padre di sua figlia Denise e boss della ‘ndrangheta. E oggi, 19 ottobre, alla presenza del presidente di Libera don Luigi Ciotti e del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, nel capoluogo lombardo si svolge il suo funerale, seguito dall’inaugurazione dei giardini intitolati alla donna assassinata (di fronte a via Montello 6).
Libera Lombardia ha colto l’occasione per lanciare la campagna "Io vedo, io sento, io parlo!, e tu da che parte STAI?". L’associazione si rivolge innanzitutto alle scuole: chiede a docenti e studenti di aderire esponendo negli istituti la bandiera “Vedo, Sento, Parlo” con l’immagine di Lea.
Un’iniziativa, quella in memoria della testimone di giustizia che ne segue di pochi giorni un’altra, non meno inquietante, per la Lombardia: la decisione del Consiglio dei ministri, presa il 15 ottobre, di sciogliere il comune di Sedriano “per infiltrazione mafiosa”. La prima amministrazione sciolta per mafia della regione. A Sedriano, il sindaco era agli arresti domiciliari perché, secondo l’ordinanza, avrebbe asservito «sistematicamente le proprie funzioni pubbliche agli interessi dei privati corruttori»; il primo cittadino è infatti coinvolto nell’indagine aperta un anno fa con l’arresto dell’allora assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, accusato di voto di scambio con la ‘ndrangheta.
Una conferma della profonda infiltrazione delle organizzazioni criminali in Lombardia. Sono proprio i padrini calabresi a Milano ad avere il primato delle attività criminali. Quasi l’84% di tutti i procedimenti in cui è coinvolta un’associazione di tipo mafioso vede al centro esponenti delle ‘ndrine, seguiti da Cosa Nostra (7%), dalla Sacra Corona Unita (5%) e dalla Camorra (2%).
Lo dice la ricerca “L’espansione della criminalità organizzata in nuovi ambiti territoriali e le sue infiltrazioni nel sistema sociale e nell’attività d’impresa” promossa dalla Camera di Commercio di Milano e realizzata dall’Università Bocconi. Presso la Procura, si è passati dai 46 indagati del 2000 per l’articolo 416 bis (associazione di tipo mafioso) ai 225 dello scorso anno.
Negli ultimi dieci anni, nell’ambito dei 62 procedimenti avviati, gli indagati sono stati 762 (sono esclusi i fascicoli oggi pendenti in qualsivoglia fase procedimentale), con due picchi nel 2006 e tra il 2010 e il 2012. Circa la metà di questi indagati sono stati poi riconosciuti colpevoli. In crescita anche gli indagati per delitti per fatti di associazione mafiosa: dagli 8 del 2000 ai 180 del 2010 (ultimo dato disponibile), +2150% in un decennio.
Il sistema cerca di toccare le imprese in un caso su cinque. Degli indagati per associazione mafiosa, il 17% sono imprenditori. Che tipo di reato compiono gli indagati di cui all’articolo 416 bis nei dieci anni considerati? Le attività criminali compiute prevalgono di poco sui reati di tipo economico (51% rispetto al 49%).
Commentando la ricerca, il Procuratore del Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, ha detto: «Fin dai tempi di “Duomo Connection” del 1989-90, sappiamo quanto la mafia sia capace di fare affari e imprese, tanto da essere capace di esportare vino siciliano in Unione Sovietica, e di essere ben salda nel cuore economico e finanziario milanese. Ma se andiamo ad esempi più recenti possiamo osservare la capacità di specializzazione elevatissima, come nella sanità. Basta guardare all’opera di Michele Aiello, uomo vicinissimo a Bernardo Provenzano, patron di una clinica all’avanguardia capace di fare concorrenza a pochissimi altri centri europei. La forza della mafia e della ‘ndrangheta, pertanto, non è il kalashnikov, ma le relazioni politiche e commerciali oltre che sociali: gli imprenditori collusi sono il tramite tra il mafioso doc e i palazzi della società civile e della comunità produttiva».
Continua Pignatone: «Al Nord, come al Sud, l’imprenditore può andare ovunque, per creare una rete utile all’attività di impresa e quindi può mettere a disposizione tale patrimonio di relazioni al servizio degli interessi della ‘ndrangheta. Addirittura vi è la vocazione volontaria di certi imprenditori non mafiosi a mettersi a disposizione della ‘ndrangheta e creare relazioni ad altissimo livello sia nei palazzi della politica, della finanza e del potere religioso».