Instagram e Facebook – ovvero i due social più importanti al mondo – hanno svolto una ricerca per capire se e come il loro utilizzo da parte degli adolescenti può essere fattore di rischio per la loro salute. I risultati della ricerca parlano chiaro: frequentare questi social durante l’età evolutiva produce significativi impatti negativi sul benessere emotivo e psicologico in età evolutiva, soprattutto nelle ragazze e nei minori più fragili e vulnerabili.
L’aspetto più problematico? La focalizzazione di questi social sull’aspetto fisico delle persone, che porta ad un’ansia crescente relativa a come gli altri percepiscono il tuo corpo. Ogni foto che pubblichi diventa una sorta di gara per vincere la competizione con tutti gli altri, per accrescere la propria popolarità e ottenere una validazione rispetto al proprio valore. Così non si guarda più a se stessi cercando di diventare ciò che si vuole essere, ma si è costantemente preoccupati di come si viene guardati dagli altri, cercando perciò di costruire un’immagine a servizio della popolarità e del consenso esterno.
Giorno dopo giorno, tutto questo erode l’autostima, il senso di sé e la propria percezione di sicurezza e identità. Una responsabilità non indifferente è da attribuire agli influencer, le cui vite patinate e perfette, sempre riprese in stories dove tutto è scintillante e senza una piega, producono – per contrasto – una percezione di costante inadeguatezza che ha risvolti anche di natura clinica.
La cosa che colpisce di più è che questa ricerca – i cui dati erano noti da anni a chi gestisce il mondo dei social network – non sono mai stati resi pubblici, fino a quando il Wall Street Journal – pochi giorni fa - li ha pubblicati infrangendo il segreto aziendale che avrebbe dovuto tenerli secretati e inaccessibili alla popolazione generale. In questi giorni, questa ricerca avrebbe dovuto generare un enorme dibattito pubblico nel mondo dei media, dell’educazione e anche della politica, cosa che invece non è successa.
Fondamentalmente, siamo come ai tempi in cui le multinazionali del tabacco – che sapevano quanto pericoloso per la salute fosse il loro prodotto – non diffondevano alcuna notizia al riguardo e pagavano ricercatori “blasonati” e dall’alto profilo scientifico per “affermare” che non c’era alcuna certezza dei risvolti negativi sulla salute associati al consumo di sigarette. Da quando è uscito il libro Vietato ai minori di 14 anni, che ho scritto con Barbara Tamborini (De Agostini) - in cui alla luce delle ricerche ad oggi disponibili invitiamo i genitori a ritardare l’accesso dei propri figli a smartphone ad uso personale – la critica più frequente che ricevo è che stiamo generando un allarme ingiustificato tra i genitori.
Bene, se l’allarme è ingiustificato, perché Instagram e Facebook hanno fatto di tutto per nascondere i dati della loro ricerca, una ricerca promossa e condotta da loro? E noi genitori, per quale motivo non abbiamo aperto un dibattito enorme sulle responsabilità che i social network hanno sulla salute e sul benessere dei nostri figli? Milioni di volte ci sentiamo dire che le responsabilità sono tutte nostre: siamo noi a dover gestire meglio l’educazione digitale dei nostri figli. Però, chi vende veleno per la mente, sapendo che produce cataboliti emotivi tossici nella psiche dei suoi giovani consumatori, non dovrebbe almeno ammettere ciò che sta facendo? Non dovrebbe dire a noi genitori di continuo: tenete i vostri figli lontani da questa roba qui, invece di investire in strategie di marketing e di uncinamento che ogni giorno aumentano il numero di utenti e il tempo di permanenza all’interno del loro territorio online? Naturalmente il dibattito è aperto e ciascuno può tirare le sue conclusioni. Riapriamo almeno il dibattito e l’attenzione su una ricerca e una serie di informazioni dal potere esplosivo che hanno fatto meno rumore di un palloncino che scoppia.