C’è il racconto di Silvia, ci sono le parole di Fiorella, Emanuela, Daniel, Hamos… Testimoni diretti della shoa, o “eredi” della tragedia della propria famiglia. “Raccontaci la tua storia… Creare ricordi per lasciare radici”, l’iniziativa del Campidoglio, confluita in libro, per sottolineare l’importanza del Giorno della memoria, scandaglia le vite degli ebrei romani e non solo. Prende per mano le emozioni dei sopravvissuti per ricordare, per dirla con le parole di Primo Levi, «che questo è stato» e dunque può ripetersi ancora. Se non si vigila, se non si tramandano le parole di generazione in generazione, i venti di odio possono ancora – e lo stanno facendo - tornare a soffiare.
«La memoria storica diventa un bisogno e un dovere, una presa di coscienza per aiutare a costruire il futuro senza commettere più gli stessi errori», scrivono i curatori dell'iniziativa condotta, per conto del dipartimento politiche sociali, da Farmacap, l'azienda di Roma capitale che gestisce 45 farmacie comunali e 10 sportelli sociali. E spiegano: «Il libro nasce nell’ambito di un progetto che ha la finalità di dare attenzione all’autobiografia storica dei familiari delle persone che hanno vissuto la Shoah o le leggi razziali, e mira a far emergere i loro vissuti per sollecitare una condivisione trasversale tra passato e presente: per evitare che una tale tragedia si ripeta, occorre ricordare e soprattutto capire. Uno strumento importante per farlo è quello di ascoltare i testimoni e chi è stato direttamente o indirettamente coinvolto negli avvenimenti, fornire alle nuove generazioni uno strumento semplice e diretto per conoscere una delle pagine più buie della storia».
Per questo hanno ascoltato le loro storie: quella di Miriam che a due anni e mezzo diventa Memme, per essere salvata dalla deportazione. Quella di Emanuele, bambino salvato dai bigliettai del tram mentre la mamma veniva portata via dai tedeschi. Quella di Roberto Daniel, figlio dell’ultimo sopravvissuto al rastrellamento dell’ottobre del ’43…
Conoscere per tramandare. In silenzio davanti al dramma, ma con la voce stentorea e chiara per non far perdere il ricordo oggi che i testimoni diretti stanno via via scomparendo. «Gli ultimi “portatori della memoria storica autobiografica”», si sottolinea nel libro, «sono purtroppo testimoni ormai sempre meno numerosi; chi è stato loro vicino ci ha raccontato, con saggezza e con dolore, la terribile esperienza della deportazione ad Auschwitz e la trasformazione della vita con le leggi razziali. Testimonianze, queste, che arrivano dritte al cuore e sono balsamo per la memoria. Non serve più, forse, capire il perché sia accaduto o cercare delle spiegazioni al male assoluto, ma prendere coscienza di quanto quell’orrore ci appartenga. Tutti, nessuno escluso». Perché vengano raccolti «questo dolore e questa verità, così vivi e crudi» per «raccontare ancora, sempre, e trasformare l’indifferenza in ascolto, la testimonianza in preziosa eredità». Perché, concludono i ricercatori, «la Giornata della Memoria, non è un giorno sul calendario, in cui ci si ferma e si ricorda, ma è una strada da percorrere ogni giorno a difesa dell’Umanità».