L’immagine è quella della famiglia di Nazareth che ha «vissuto l’esperienza del rifiuto all’inizio del suo cammino: Maria "diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio" (Lc 2,7). Anzi, Gesù, Maria e Giuseppe hanno sperimentato che cosa significhi lasciare la propria terra ed essere migranti: minacciati dalla sete di potere di Erode, furono costretti a fuggire e a rifugiarsi in Egitto (cfr Mt 2,13-14). Ma il cuore materno di Maria e il cuore premuroso di Giuseppe, Custode della Santa Famiglia, hanno conservato sempre la fiducia che Dio mai abbandona».
Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata mondiale del rifugiato che si celebrerà il 19 gennaio torna a denunciare le condizioni di vita di chi è costretto a lasciare il proprio Paese e trova, ad accoglierlo, diffidenza e sospetti. Richiama il ruolo e la responsabilità della stampa per «smascherare stereotipi e offrire corrette informazioni, dove capiterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animo dei più. In questo, è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore. Anche i mezzi di comunicazione sono chiamati ad entrare in questa “conversione di atteggiamenti” e a favorire questo cambio di comportamento verso i migranti e i rifugiati».
Chi lascia il proprio Paese, ricorda il Papa, lo fa perché non ci sono alternative, perché è a rischio la propria vita e quella della propria famiglia. E punta il dito contro uno sviluppo che «non si può ridurre alla mera crescita economica, conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri (cfr Mt 25,31-46); se si è capaci di passare da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza. Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più. È impressionante il numero di persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. In cammino con migranti e rifugiati, la Chiesa si impegna a comprendere le cause che sono alle origini delle migrazioni, ma anche a lavorare per superare gli effetti negativi e a valorizzare le ricadute positive sulle comunità di origine, di transito e di destinazione dei movimenti migratori».
Occorre collaborazione, cooperazione, impegno di istituzioni nazionali e internazionali «per costruire un mondo migliore», per superare la povertà fatta di «violenza, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali, sia di individui che di collettività».
«In fuga da situazioni di miseria o di persecuzione verso migliori prospettive o per avere salva la vita», insiste il Papa, «milioni di persone intraprendono il viaggio migratorio e, mentre sperano di trovare compimento alle attese, incontrano spesso diffidenza, chiusura ed esclusione e sono colpiti da altre sventure, spesso anche più gravi e che feriscono la loro dignità umana».
Ma sono in tanti, anche, che accompagnano questo cammino, che lavorano accanto e insieme a chi fugge da situazioni di pericolo e miseria. C’è ancora la mano di Dio, che non abbandona. Per questo si può ancora avere fiducia. «Non perdete la speranza che anche a voi sia riservato un futuro più sicuro», conclude il Papa, «che sui vostri sentieri possiate incontrare una mano tesa, che vi sia dato di sperimentare la solidarietà fraterna e il calore dell’amicizia».