Anche il capo dello Stato Sergio Mattarella al monastero di Camaldoli.
Ottant'anni fa un manipolo di giovani cattolici, sollecitati dall'Arcivescovo di Bergamo, monsignor Adriano Bernareggi, si ritrovò a Camaldoli per discutere degli assetti futuri dell'Italia. Dal 18 al 24 luglio 1943 - quando ormai si intuiva la fine del Fascismo, che infatti cadrà nella riunione del Gran Consiglio il giorno dopo, aprendo una crisi istituzionale che sfocerà l'8 settembre successivo nell'Armistizio e, quindi, nella guerra civile che insanguinerà l'Italia per un anno e mezzo -, fu redatto qul documento programmatico che resterà negli annali come "Codice di Camaldoli". Una serie di orientamenti che, all'indomani della fine della guerra, costituirà il serbatoio di idee che ispirerà i cattolici nel dare il loro fondamentale contributo alla Costituzione e, quindi, alla nuova Italia che uscirà dalla Seconda Guerra Mondiale.
Guidati dal giovane economista Sergio Paronetto, vi parteciparono alcuni protagonisti della futura vita repubblicana e tutti i livelli, politico e accademico: tra questi Ezio Vanoni, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giuseppe Capograssi.
In occasione di questo evento si è aperto il 21 luglio presso il monastero di Camaldoli un convegno dal titolo "Il Codice di Camaldoli", con l'eccezionale presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella e del Presidente della Cei monsignor Matteo Zuppi, reduce dalla trasferta negli Stati Uniti.
Dopo aver toccato Kyiv e Mosca, Zuppi ha incontrato a Washington il presidente degli Stati Uniti Biden, per discutere sulle possibili soluzioni per la guerra in Ucraina e, più realisticamente nel breve periodo, di possibili accordi parziali di carattere umanitario.
Ricordando quei giorni del 1943 a Camaldoli, Zuppi nella sua prolusione, ha detto parole forti, che aiutano la riflessione in questo tempo senza tempo, in cui l'azione politica nel senso più nobile del termine latita. Il capo dei vescovi italiani ha ricordato che «la presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e i decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura» che quei giovani esprimevano. E il problema oggi, per il Presidente della Cei sta proprio qui, in quella parola magica: cultura.
«Uno dei problemi oggi è proprio il divorzio tra cultura e politiva - e questo non solo per i cattolici! - consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati, molto polarizzati». Parole forti che denunciano quello che tutti sanno, ma che pochi dicono: la democrazia è in pericolo, e con lei la pace.
«L'infiacchimento della democrazia», ha detto davanti a Mattarella e ai tanti presenti, «è sempre un cattivo presagio per la pace»; «bisogna risvegliare gli sguardi e le menti, per superare il circolo vizioso per cui tutto diventa impossibile». Ne è seguito l'elogio di papa Francesco, che come hanno fatto tutti i Papi del Novecento, difende strenuamente la pace, «insistendo sulla fraternità quando dilaga l'estraneità», favorita dai dilaganti populismi un po' in tutte le regioni del globo.
Infine, un invito al popolo cattolico: «I credenti devono avere il coraggio, nel rispetto delle diverse sensibilità, di interrogarsi dialogando e ascoltandosi, che vuol dire ispirarsi al Vangelo nella costruzione della comunità umana». E devono farlo singolarmente e comunitariamente per combattere quei «protagonismi che indeboliscono se non sanno scegliere l'umiltà del confronto e del pensarsi insieme». Un invito, dunque, a pnsare e a fare del pensiero un'azione a favore del bene comune.