Naso rosso, camice bianco, parrucche colorate, stelle filanti, palloncini, fischietti, una mutanda oversize. E una montagna di risate, quelle dei profughi, siriani e palestinesi, confinati nei campi della Giordania. Dove, a metà ottobre, sono arrivati 20 clown, ambasciatori del sorriso, guidati da Hunter Doherty, “Patch” Adams, 69enne, medico e attivista statunitense, che da decenni si batte per l'assistenza medica gratuita, e dal 2002 porta un team di pagliacci “professionisti” (nel gruppo ci sono medici, psicologi, terapisti, educatori) nelle cosiddette “aree di crisi” del mondo, per far sorridere le persone traumatizzate (la chiama la Revolution of love, la rivoluzione dell'amore).
Ad accompagnare Adams, anche due italiani, l'attrice e formatrice Ginevra Sanguigno e Italo Bertolasi, membri fondatori dell'associazione Clown One Italia onlus, che dal 2000 collabora con il medico statunitense, e a sua volta organizza spedizioni umanitarie in ogni continente.
«Il problema reale è che di tutto questo non interessa niente a nessuno», dice sconsolato Bertolasi, che di Clown One Italia onlus è presidente. «In Giordania l'accudimento di una quantità enorme di profughi è affidata a un governo povero. Stiamo parlando di 6 milioni di abitanti e oltre un milione di profughi (più di 300 mila sono palestinesi, lì da anni, a cui si aggiungono i siriani in fuga dalla guerra), cifra che aumenta quotidianamente, con una situazione in continua evoluzione. La Giordania è un Paese senz'acqua, il territorio è un grande deserto. Come può far fronte a un'emergenza di tali dimensioni?».
"Abbiamo ascoltato tante storie e tanta sofferenza"
La delegazione era partita con meta al-Zaatari, nell'area di Mafrak, al confine con la Siria; con 150 mila profughi siriani, è il campo più grande del Paese.
«Invece, non ci hanno permesso di andare, perché la situazione, tra mafia, droga, prostituzione e criminalità, è esplosiva», riprende Bertolasi. «E la gente non si fida degli estranei. Perciò abbiamo optato per altri campi; nel Paese sono una ventina, disseminati a macchia d'olio. Abbiamo visitato ospedali, scuole, centri aggregativi, case, famiglie sotto le tende, ascoltando tante storie e tanta sofferenza. C'è chi è stato picchiato, torturato, e porta nel corpo ferite evidenti, bruciature, c'è chi cammina con le stampelle, perché mutilato di un piede, le donne sono terrorizzate, i bambini hanno stampata negli occhi la tragedia vissuta; non dimentichiamo che praticamente in ogni famiglia c'è stato un lutto. Molti provengono da Dera'a, da dove la rivolta è partita; lì è dove hanno picchiato di più... In un primo momento, sono stati accolti nelle zone di Mafraq, Irbid, lungo il confine. Quindi, si sono spinti nei vari campi, dove hanno trovato rifugio ma anche altri problemi. In certi manca l'acqua e non ci sono i servizi igienici. La situazione sanitaria è allo stremo. La promiscuità favorisce la violenza; ragazze adolescenti e bambini sono i più a rischio, le prime sono spesso vittime di aggressioni e molestie, i secondi di bullismo e piccola criminalità».
"Con il viso truccato e un goffo abbigliamento diventa più facile abbracciare il mondo"
– Che cosa può fare in questi posti un naso rosso?
«Interagire sul piano dell'allegria, del buon umore, attraverso abbracci, scherzi, giochi, serve ad alleviare lo stress. Il ferito non ha bisogno solo di fasciatura, ha bisogno, in primo luogo, di amore. Il contatto, anche fisico, l'incrocio delle mani, le carezze, l'abbraccio, danzare insieme, cantare a squarciagola, tutto questo aiuta a prendere il giusto distacco dal dolore che si sta vivendo e alimenta la speranza nel futuro. Come preparazione, prima di affrontare i campi, avevamo partecipato, ad Amman, alla conferenza “Transgenerational trauma”, promossa dall'organizzazione non governativa statunitense “Common bond Institute” (sodalizio di psicologi, impegnato nel soccorso internazionale), proprio per identificare gli effetti post traumatici della fuga dalla Siria, in particolare dei minori».
– La maggior parte di chi abita i campi è musulmano. Come siete stati accolti?
«Ci è stata sicuramente utile la presenza di un gruppo di studenti di medicina giordani, anche loro impegnati nella clownterapia. Nei campi ci siamo trovati di fronte a comunità musulmane abbastanza aperte, ma con regole precise. Per esempio, ci avevano istruiti a non toccare le donne. Mentre i giovani venivano presi, strattonati, abbracciati, con le donne si andava più cauti, loro, per lo più, volevano essere fotografate. Però, attraverso la trasgressione che portano i clown, abbiamo potuto “agganciare” anche signore e signorine. Gli stessi studenti giordani hanno scoperto molte cose sul piano della libertà personale, come interagire in modo diverso col maschile, per esempio. Patch si era portato un mutandone enorme, che è praticamente il suo strumento di lavoro. Se lo infila sopra i calzoni da clown e ci infila dentro più persone possibile. Poi, ha fatto trainare da una ragazza questo fantastico “treno umano”. Grazie al suo carisma, riesce a ribaltare tutte le logiche, a soverchiare qualsiasi regola. Con il viso truccato e un goffo abbigliamento diventa più facile abbracciare il mondo».