Musulmano, ex generale, ex golpista, ex dittatore a capo di una giunta militare, ex sconfitto (per più volte) alle tornate elettorali precedenti, questa volta Muhammadu Buhari ce l’ha fatta. È il nuovo presidente della Nigeria, con 15,4 milioni di voti (contro i 13,3 ottenuti dal capo dello Stato uscente, Goodluck Jonathan). Quest’ultimo ha accettato l’esito del voto e riconosciuto la vittoria di Buhari.
Un cambio di presidenza e anche, per la prima volta, di partito al potere: da quando la Nigeria era tornata alla democrazia (nel 2000) aveva sempre vinto il Pdp (People’s Democratic Party); Buhari, invece, è espressione dell’Apc (All Progressives Congress), che raggruppa diversi dei gruppi d’opposizione delle precedenti elezioni.
Buhari ha 72 anni e in un modo o nell’altro è sulla scena politica fin dal 1966, quando fu implicato nel colpo di Stato che portò al potere Yakubu Gowon. In seguito fu ministro del Petrolio e delle Risorse naturali sotto il regime militare (1977-79) di Olusegun Obasanjo, e presidente – ancora una volta in seguito a un golpe – per 20 mesi, tra il 1983 e il 1985.
Prima di questa vittoria, aveva tentato inutilmente per tre volte di diventare presidente della Federazione nigeriana: nel 2003, nel 2007 e infine nel 2011, quando aveva perduto proprio contro Goodluck Jonathan.
Le promesse: battere Boko Haram e la corruzione
La sua vittoria è stata netta, con gli oltre due milioni di voti di vantaggio sul presidente uscente, ma nonostante questo governare non gli sarà facile. Una parte consistente della popolazione del Sud – che è anche la parte più ricca del Paese e quella dove ci sono i giacimenti petroliferi del Delta del Niger – nutre per lui una certa diffidenza, che nasce soprattutto dal suo passato autoritario combinato al fatto che è un musulmano di etnia fulani dell’estremo Nord (proviene dallo Stato di Katsina).
Inoltre deve ora mantenere le due più importanti promesse elettorali: sconfiggere gli estremisti islamici di Boko Haram, che hanno insanguinato il Paese negli ultimi anni, e combattere seriamente la corruzione dilagante.
Insomma, deve riuscire dove ha fallito il suo predecessore, sconfitte che sono costate a Jonathan la poltrona.