Andrea Mella
Nel suo discorso tenuto all’Accademia di Svezia il 12 dicembre 1975, Eugenio Montale, ricevendo il Premio Nobel per la letteratura, disse: “Sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà”. Non è certamente nociva e non è destinata a morire la poesia, come aggiungeva Montale in quel discorso, “che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale”.
Quelle indicate da Montale sono le qualità che si trovano, rendendole così indispensabili, nelle poesie di Andrea Mella dedicate ai tanti, troppi migranti affogati nel Mediterraneo durante le traversate dalle coste africane a quelle europee.
Mella, 42 anni, avvocato originario di Pordenone, già autore di una pregevole serie di racconti pubblicata nel 2014 (Marittimo Blues), ha pubblicato una raccolta di poesie intitolata “Il misantropo dei Sargassi” (Edizioni del Foglio Clandestino). La sezione “Transito” assume i toni dell’ode civile nell’evocare non solo le traversate in mare, i naufragi, ma anche quello che c’è prima, le peripezie dei migranti nel deserto o nei campi di raccolta africani (“Passa, lungo piste di schiavi di impossibile/lettura, la carovana. Anche se nessuna pupilla, /nessuna stella, più brilla, chiusa nel fagotto,/nessuna tanica balla più, nessun stomaco.)
“La poesia”, spiega Mella, “ha una sua irrinunciabile cifra intima, certo, ma non è staccata dal proprio tempo. Né si esaurisce in una dimensione puramente interiore, tra struggimento, malinconia e amore. Anzi. La poesia è un codice che serve per interpretare, filtrare e cercare di capire la contemporaneità”.
Mella lamenta che i numeri sui morti nel Mediterraneo (35.000 dal 1993 ad oggi) “sono diventati poco più che statistiche, con il rischio dell’assuefazione e dell’indifferenza. “Ho avvertito quindi”, aggiunge, “l’esigenza di fare i conti con quel silenzio e con quei numeri: non lasciare che diventino invisibili o peggio che si disintegrino dentro strumentali polemiche quotidiane. Nel mio piccolo ho provato a metterci le parole, costruendo quella che mi piace chiamare ode civile”.
“La poesia”, spiega Andrea Mella, “può aggiungere qualcosa alle immagini: anzitutto, ci costringe a pesare le parole e a gustarne suono e significato, magari costringendoci a porre attenzione sul testo e su quello che il testo rappresenta. Ad esempio, uno degli ultimi versi dell’ode civile non è che il titolo letto sul giornale (‘Gli alti commissari deplorano’), ma inserito nella parte pulsante del naufragio non fa altro che aumentarne il peso burocratico, il senso di inadeguatezza delle istituzioni e di tutti noi. Crea un cortocircuito, a mio parere. Il testo poetico ci impone di soffermarci sulla riga, di non scivolare via cercando la pagina seguente. Insomma, spero, senza presunzione, che qualcuno rifletta quando legge passi come questo: Sono gli uomini del transito,/battono col remo/sulla schiena dei disperati,/che disperano di trovare un appiglio/e tendono le mani – non credono/non vogliono finire nuovamente/indietro, nel nulla, non vogliono/soprattutto che siano i figli a cadere/nel gorgo.