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domenica 27 aprile 2025
 
 

Cia batte Italia: sovranità addio

01/07/2013  L'ex agente Cia di Milano condannato per la "extraordinary rendition" di Abu Omar, non sarà estradato. Fino a quando saremo a sovranità limitata?

Chi avesse avuto dubbi, ora può farne a meno. L’Italia resta un paese a sovranità limitata. Almeno rispetto agli Stati Uniti. E quanto dimostra lo strano caso di Robert Seldon Lady, l'ex capocentro Cia di Milano condannato a 9 anni dalla magistratura italiana per la "extraordinary rendition" di Abu Omar. L’uomo era stato fermato venerdì a Panama su mandato di cattura internazionale. Ma invece di prendere la strada per l’Italia è stato messo su un aereo e riportato a casa. La notizia del Washington post stata è poi confermata dal dipartimento di Stato americano"E' in viaggio per tornare negli Usa", si è limitata a dichiarare Marie Harf, portavoce di Foggy Bottom.

Solo ventiquattr’ore di carcere dunque per l’uomo che “allontanò dal territorio italiano” il presunto animatore di una cellula di terrorismo islamica a Milano. Un rapimento in barba ad ogni tipo di legge nazionale sul nostro territorio, dribblando magistrati e norme. Fa quasi tenerezza il “rammarico” del ministro di Grazia e Giustizia Anna Maria Cancellieri che riteneva di avere con gli Stati Uniti normali rapporti diplomatici e pensava di avere due mesi per chiedere l'estradizione di Lady. Nei rapporti di forza, evidentemente tempi e norme non contano nulla: come hanno spiegato le fonti del ministero degli esteri panamense,  l’agente Cia è stato rilasciato perché non esiste alcuna trattato di estradizione con l'Italia e soprattutto perchè la documentazione inviata da Roma, era "insufficiente". Questione di pareri. La parola del più forte - Panama ovvero Stati Uniti - contro la paura della parola del più debole, in questo caso l’Italia.


A oltre 20 anni dalla fine della guerra fredda, l’Italia si scopre nuovamente Paese a sovranità limitata.
Come già avvenuto di recente nel Datagate che la colloca tra i partner di "terza classe". Quelli che, stando al settimanale di Amburgo Der Spiegel, possono e sono spiati “per esigenze di sicurezza” dalla Nsa, la National Security Agency americana. Oltre che per l’Italia, microspie anche per Germania e Francia. Esclusi, perché più affidabili, Canada, Gran Bretagna e Nuova Zelanda i fedelissimi della Camelot di Washington.

Quanto all’Europa, intesa come entità politica, le ultime rivelazioni classificano la Ue come “target”. Un obiettivo, un bersaglio, croce bianca su tondo rosso come quel che appare nella schermata di un cacciabombardiere. Erano e forse sono ancora spiate, infatti,  le rappresentanze diplomatiche della Ue a New York e Washington. Monitorate perfino le sale riunioni di uno dei palazzi di Bruxelles. Quanto basta per far dire a Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, che si tratta di una “crisi gravissima”.


Al di là dei riflessi diplomatici immediati, tutto ciò a noi pare un “riflesso condizionato” della Guerra Fredda, conferma di una “vocazione globale” del nostro primo alleato.
Una necessità senza più necessità, né movente plausibile, una volta caduta la ragion superiore che ci voleva protetti dalla minaccia sovietica, e dunque frontiera del pericolo e del diritto.
Certo, tanto ci ha giovato essere “più sicuri da quella parte” come ammise perfino Enrico Berlinguer in una celebre intervista a Giampaolo Pansa del 1976. Eppure tanto ci è anche costata questa appartenenza, se si pensa a quanto - tra servizi “amici” e deviati - abbiamo dovuto ignorare fino a oggi delle stragi nazionali, da Piazza Fontana a Bologna, a Ustica. E a quanto abbiamo dovuto accettare di limitazioni alla sovranità nazionale, dal Cermis ai rapimenti senza preavviso di cittadini “pericolosi” in barba ad ogni legge nazionale.


Quel che fatichiamo ad accettare è la sistematica, scientifica violazione della privacy e della sovranità nazionlae che dura anche dopo che ogni muro è crollato. Anche dopo l’eliminazione ideologica prima che politica del nemico di sempre. Spiare ogni giorno circa 20 milioni di collegamenti telefonici, che in giornate particolarmente calde salgono a circa 60 milioni, non fa degli Stati Uniti un Paese che vuole cicatrizzare le ferite ancora vive dell’11 settembre. Ne fa un controllore globale. E il sospetto che la cosa abbia fini più offensivi che difensivi e si serva di paraventi ben costruiti (un tempo il nemico rosso, oggi il terrore islamico) diventa legittimo. Non sarà che in ballo ci sono i segreti industriali delle imprese europee? E che l’oggetto di tutto sia una concorrenza giocata sul filo dei brevetti per la supremazia economica sullo scacchiere globale?

E’ questa secondo noi la verità occulta, indicibile e nascosta dietro il paravento del terrorismo: tra Usa e Ue è in atto una guerra economica e finanziaria a bassa intensità che dura malgrado i vertici,  i G8, e i G20. Continua anche dopo il crollo del muro di Berlino come dimostra il precedente di Echelon, la grande rete di intercettazioni scoperta già nel 2000 che coinvolgeva oltre agli Usa gli stessi Paesi complici di oggi: Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Allora, in una intervista a Le Figaro, l'ex direttore della Cia James Woolsey  disse che lo spionaggio industriale contro le imprese europee si giustificava con la “necessità di contrastare i tentativi di corruzione con cui queste cercano di aggiudicarsi una serie di appalti internazionali”. Difendersi comunque. Difendersi intercettando. Ma per quanto riguarda noi, da questa parte dell’Atlantico: non sarebbe finalmente ora che l’Italia e l’Europa cessassero di essere luoghi a sovranità limitata?  


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