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giovedì 03 ottobre 2024
 
 

Un possibile identikit del volontario

18/05/2011  Un’efficace analisi delle caratteristiche psicologiche del volontario, aiuta a capire come questo fenomeno possa costituirsi come una risorsa per sé, oltre che per gli altri.

(questo articolo fa parte del numero di maggio - giugno 2011 di Famiglia Oggi). E' possibile abbonarsi al bimestrale cliccando qui.

Per tratteggiare l’identikit del volontario in modo sintetico, ma sufficientemente ampio per intravederne la poliedricità, è stata scelta la definizione contenuta nella Carta dei valori del volontariato: «Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni».
In questa definizione emergono alcuni aspetti salienti: il dono, con particolare riferimento all’oggetto e alla modalità: si offrono tempo e competenze in modo disinteressato e gratuito; i benefici che le persone, i gruppi, la società o l’umanità ricevono dall’attività svolta dal volontario.
Da alcuni anni si sta assistendo al progressivo consolidamento dell’idea che il volontariato sia un impegno fondato oltre che sul pilastro tradizionale dell’altruismo anche su quello personale dell’appagamento di bisogni e interessi. Questa visione non toglie nulla alla purezza e alla grandezza dell’impegno dei volontari, bensì lo connota di aspetti umani. Il volontario, quindi, è una persona capace di coniugare in modo equilibrato le istanze del mondo esterno con le esigenze personali.

Considerare il volontariato come una strada per mantenere il proprio benessere bio-psico-socio-spirituale, contribuisce ad avallare l’ipotesi che fare il volontario sia una risorsa per lo stesso volontario. Il termine benessere è utilizzato per indicare una moltitudine di status, con sfumature di tipo narcisistico e individualistico.
L’orientamento che si adatta meglio all’attività del volontario è inscritto nell’assunzione di responsabilità personale e nel rispetto dell’altro e della comunità in cui si vive. Per cogliere l’ampiezza del concetto di benessere vengono riportati alcuni aspetti della scala Psychological well-being scale (Pwbs) elaborata da Ryff nel 1989:

  1. auto-accettazione: atteggiamento positivo verso sé stessi, pertanto vengono riconosciuti e accettati imolteplici aspetti di sé;
  2. relazioni sociali: positive, calorose, soddisfacenti e basate sulla fiducia, permeate da empatia, affetto e intimità;
  3. crescita personale: le persone si sentono implicate in un processo continuo di sviluppo, si impegnano a realizzare le loro potenzialità e sono aperte a nuove esperienze;
  4. propositi di vita: hanno obiettivi da perseguire, principi e valori che attribuiscono senso all’esistenza; ritengono che la loro vita presente e passata abbia significato;
  5. padronanza dell’ambiente: hanno competenze e capacità per gestire l’ambiente; controllano una complessa gamma di attività esterne; sanno scegliere o creare contesti adeguati a necessità e valori personali;
  6. autonomia: tendono all’autodeterminazione e all’indipendenza; sono in grado di resistere alle pressioni sociali che spingono a pensare e agire in modo massificato.

Nel 1998 Keys ha integrato la visione aggiungendo cinque dimensioni relative al benessere sociale:

  • coerenza sociale: la società è valutata coerente e comprensibile;
  • attualizzazione sociale: la società possiede potenzialità di crescita;
  • integrazione sociale: le persone sentono di appartenere ed essere accettate dalla comunità in cui vivono;
  • accettazione sociale: le persone accettano la maggior parte degli aspetti della società;
  • contributo sociale: le persone percepiscono di dare un contributo alla società.

L’attività di volontariato, quindi, riverbera i suoi effetti sulla persona e apporta cambiamenti a livello intrapersonale e interpersonale. I cambiamenti indicati dai volontari come maggiormente significativi riguardano il modo di essere con gli amici (67,1%), con i familiari (54,9%) e nell’ambiente lavorativo (48,1%). L’influenza, spesso, si estende alla sfera dell’identità personale e della ricerca di senso; entrambe, cruciali nell’adolescenza, vanno costantemente ridefinite nel tempo per assicurarsi equilibrio e serenità; il ritocco e l’aggiornamento dovrebbero accompagnare l’essere umano per tutta la vita.
L’esperienza di volontariato può dare il suo contributo con sfumature che arricchiscono e puntualizzano l’immagine che ciascuno ha di sé stesso, in quanto permette di esprimersi, scambiare idee ed esperienze, sperimentare la condivisione di valori, stabilire relazioni significative, assumere responsabilità e sviluppare il senso di appartenenza. Pertanto, fare il volontario può diventare parte dell’identità personale.

Le ricerche psicologiche e sociologiche hanno evidenziato che il volontariato è una realtà composita e la spinta all’impegno in tale settore è il risultato di motivazioni e processi particolarmente complessi. Sono state individuate due grandi aree di influenza: fattori individuali; fattori familiari, comunitari e sociali. Il mondo motivazionale individuale risulta essere un impasto armonico di elementi a volte apparentemente antitetici e non un’ordinata successione di fattori separati in cui alcuni escludono altri3. Le motivazioni sono state classificate e connesse in modo originale da Yeung, che ha individuato quattro polarità, attorno alle quali le motivazioni si aggregano.

  1. Dare-ricevere, in cui il dare comprende il desiderio di aiutare i meno fortunati, di impegnarsi per il bene comune, di aver sperimentato l’essere aiutati; il ricevere è legato all’autosoddisfazione, al benessere personale, alla possibilità di effettuare esperienza in un ambiente sicuro. In tale continuum fare il volontario può risultare un’attività che ha diverse funzioni: a) poter vivere il senso di responsabilità verso la comunità; b) mettere a disposizione le proprie risorse; c) essere riconosciuti, accolti e rispettati; d) proteggere l’Io dagli aspetti negativi, quali, per esempio, il senso di colpa che nasce dalla consapevolezza di essere più fortunati di altri e da conflitti interni relativi al proprio valore e alle proprie capacità; può aiutare ad affrontare i problemi personali, grazie allo spostamento dell’attenzione su persone in stato di bisogno che si trovano in situazioni peggiori e traggono benefici dall’operato del volontario; e) favorire lo sviluppo della propria personalità; g) aumentare le opportunità di entrare nel mondo del lavoro e realizzare alcuni cambiamenti; partecipare alle attività di volontariato è un elemento qualificante del proprio curriculum, in quanto, come emerge da alcune ricerche, il volontario è considerato migliore di chi non è impegnato ed è da ammirare; inoltre sottende “buone qualità” come l’essere affidabile, onesto e disponibile.
  2. Continuità-novità: il primo termine è permeato dall’esigenza di trovare affinità di ideali o di competenze, mentre il secondo è caratterizzato dal desiderio di cambiare e poter vivere esperienze nuove. Anche in questo contesto è possibile individuare varie funzioni: a) esprimere e condividere ideali religiosi, politici e morali, tra cui l’essere accanto agli ultimi, a coloro che hanno affinità culturali, quali, per esempio, l’amore per l’arte che porta a proteggere il patrimonio artistico e a diffonderlo; vivere il senso di responsabilità verso la comunità, dal nucleo più piccolo, la famiglia, all’umanità intera; b) confrontare, assimilare e rielaborare valori e cultura; c) accrescere, affinare, apprendere nuove competenze e abilità in ambito professionale, culturale e sociale; d) ampliare la rete dei rapporti sociali: è possibile aumentare il numero delle persone con cui si stabiliscono rapporti di conoscenza, collaborazione, amicizia e, contemporaneamente, sedimentare la stabilità, la positività e la profondità delle stesse relazioni.
    Viene, così, favorito lo sviluppo del senso di appartenenza al gruppo e della fiducia sociale, aspetti poco diffusi nella società contemporanea pervasa da instabilità, precarietà e mutamenti rapidissimi.
  3. Distanza-prossimità: il volontario può scegliere di impegnarsi in due tipologie di situazioni; una prevede una relazione stretta e continua con il destinatario dell’intervento, l’altra una relazione senza un contatto diretto, come avviene nelle attività di progettazione oppure di coordinamento e supervisione dell’operato dei gruppi. Le funzioni possono essere: a) sentirsi utili e scoprire il senso del proprio operare, anche se realizzato nel distanziamento; b) sperimentare la positività della prossimità con il “diverso”; c) prendere una tregua in una vita densa di relazioni strette.
  4. Riflessività-prassi: la riflessività è intesa come elemento che opera una mediazione tra la struttura e l’agire personale e la funzione è quella di tutelare la coerenza intra-psichica e sociale. Nella polarità della prassi è privilegiata l’azione, la cui funzione è conciliare l’impegno volontario con flessibilità e certezza del tempo; la scelta è orientata verso progetti a breve- medio termine. Studi e ricerche hanno registrato la fluttuazione di motivazioni nel tempo e all’interno della stessa persona7, pertanto la persona può spostarsi avvicinandosi o allontanandosi dalle polarità, oltre che modificare i punti di intersezione.
    Una conseguenza è che le motivazioni incorporate nella propria storia e a seguito dell’esperienza con i beneficiari, gli altri volontari e la struttura di riferimento, possono variare e gli scenari divengono innumerevoli: dal continuare a fare il volontario a interrompere, dal cambiare struttura all’intraprendere l’esperienza in altri campi d’intervento.

La famiglia è uno dei luoghi in cui la scelta di intraprendere e continuare a svolgere attività come volontari può essere favorita oppure ostacolata: il dato emerge da alcune ricerche che si sono occupate dell’influenza degli stili e delle pratiche educative della famiglia di origine sulla scelta dei giovani di fare volontariato8. Tra le condizioni favorenti segnaliamo:

  • l’esistenza di affinità tra famiglia e mondo del volontariato; particolarmente influenti sembrano essere le proprietà relazionali che dovrebbero permeare entrambi i gruppi: dono, reciprocità e fiducia;
  • il radicamento della famiglia nella comunità;
  • il patrimonio di rapporti sociali solidi e positivi.

Risulta, invece, ostacolante un’eccessiva sollecitazione a intraprendere tale esperienza, in quanto assumerebbe i contorni di oppressione sociale. La famiglia, in ogni caso, dovrebbe essere supportata dalle altre istituzioni educativo-culturali con le quali condivide e persegue obiettivi comuni: contribuire alla crescita di giovani responsabili, solidali e inclini all’impegno per il bene sociale. È necessario che fin dall’infanzia l’essere umano respiri un clima prosociale, viva avvolto dalla cultura della solidarietà, abbia dei validi modelli di riferimento e maturi la capacità di operare scelte consapevoli, compresa quella di diventare volontario.
Di pari passo con l’azione educativa andrebbe promossa l’azione legislativa, fondamentale per il riconoscimento a livello istituzionale del valore sociale del volontariato e per agevolarne l’azione, l’organizzazione e la diffusione.

Le associazioni di volontariato si devono occupare, per la loro stessa sopravvivenza, anche di mantenere nel tempo i volontari e di trovarne nuovi. Concorrono all’adempimento di questi delicati compiti la comunicazione esterna, lo stile di governo dell’organizzazione, la capacità di creare una “squadra”, la formazione, la verifica e la selezione. Può sembrare inappropriato pensare di selezionare i volontari; accade, però, che si sperimentino incomprensioni, si verifichino demotivazione e abbandoni. Tra le molteplici cause alcune sono da ricercare nella discrepanza tra organizzazione e singolo volontario su più fronti: le finalità, le esigenze, il modo di essere volontario. Molte organizzazioni intervengono nel momento in cui si verificano le difficoltà, ma spesso è tardi e l’impegno nella ricostruzione di un clima sereno e collaborativo diventa gravoso e temporalmente lungo.
La selezione potrebbe essere uno strumento per tutelare tutti i soggetti coinvolti: l’associazione, il volontario e i beneficiari. È doveroso non “cestinare” alcun aspirante; in alcuni casi è necessario aiutarlo a prendere coscienza che dietro al desiderio di fare il volontario ci sono difficoltà personali che devono essere risolte prima di dedicarsi a tale attività; in altri casi è opportuno sollecitare il riorientamento della scelta; per attuare questo tipo di accompagnamento è importante avere a disposizione una rete di associazioni, che permette di proporre alle persone alternative a loro più consone. In concreto, la selezione sul versante del volontario permette di:

  • delinearne l’identità, attraverso la mappatura dei valori, l’approfondimento di alcuni tratti personologici, quali la coerenza e la serietà, l’analisi delle competenze conoscitive, professionali, relazionali, operative specifiche richieste dal servizio da prestare;
  • analizzare le motivazioni, sane o patologiche, adeguate o inadeguate rispetto al tipo di attività da svolgere e alle situazioni in cui si opera;
  • sondare la capacità di valutare sé stesso, il proprio operato e saper lavorare in gruppo. Sul versante dell’associazione la selezione permette di:
  • elaborare un progetto di accoglienza che dovrebbe favorire il mantenimento dei volontari al proprio interno;
  • accogliere “il nuovo compatibile” che permetterebbe di armonizzare le proprie istanze con quelle dei volontari e, quindi, incentiverebbe il rinnovamento, il miglioramento e la crescita.

La selezione, infine, supporta la scelta reciproca: il volontario sceglie l’organizzazione e questa, a sua volta, sceglie il volontario. Il punto di partenza del processo di selezione potrebbe essere la richiesta di un’autobiografia. È uno strumento per iniziare a conoscere l’essere umano a cui ci stiamo accostando. La scelta della forma espressiva, della modalità, degli eventi raccontati e di quelli esclusi, può rivelare la filosofia di vita della persona, i suoi ideali e la sua concezione del mondo. L’autobiografia è fondamentale anche per la costruzione della relazione, in quanto incontrarsi empaticamente nella vita dell’altro può diventare la pietra angolare del rapporto tra l’Io e il Tu. Si crea un clima sereno, collaborativo e costruttivo.

Dopo aver presentato i tratti essenziali che accompagnano la figura del volontario e dell’impegno a cui è chiamato, appare utile tracciare una linea conclusiva. In primo luogo, fare volontariato può aiutarci a non perdere il senso della vita, sia nelle situazioni di difficoltà che nei momenti di gioia e felicità, a tenere lontano le paure ancestrali del nulla e della temporalità segnata dalla morte assoluta. Fare il volontario rinfranca l’idea che il bene esiste, nonostante situazioni particolari contribuiscono a offuscarlo e a farne perdere le tracce nelle persone e nella realtà.

Fare il volontario può portarci tra gli intimi sentieri dell’animo umano, quelli delle emozioni e dei sentimenti personali che ci accomunano, perché radicati nell’universalità del bisogno di amare, essere amati e riconosciuti. L’amore che dovrebbe avvolgere la nostra vita, in quanto suo principio e finalità; si nasce da un atto d’amore, si vive cercando e ricambiando amore, si muore nella speranza di continuare a vivere nel ricordo, nei gesti, nelle parole, negli atteggiamenti di chi abbiamo amato e di chi ci ha amato; i credenti muoiono nella speranza di ricongiungersi al Padre nella dimensione eterna dell’Amore.
Le parole di san Paolo tracciano i lineamenti dell’amore nell’espressione più alta della carità: «La carità è paziente, è benefica; la carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia; non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia ma fa suo il godimento della verità; a tutto s’accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Carità che se sostanzia anche il volontario e il suo operato, lo può aiutare a contenere i propri difetti, le proprie debolezze e accrescere le parti migliori di sé.

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