(questo articolo fa parte del numero di maggio - giugno 2011 di Famiglia Oggi). E' possibile abbonarsi al bimestrale cliccando qui.
Per tratteggiare l’identikit del volontario in modo
sintetico, ma sufficientemente ampio per
intravederne la poliedricità, è stata scelta la
definizione contenuta nella
Carta dei valori del volontariato:
«Volontario è la persona che, adempiuti i doveri
di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio
tempo e le proprie capacità per gli altri, per la
comunità di appartenenza o per l’umanità intera.
Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo
risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari
della propria azione o contribuendo alla realizzazione
dei beni comuni».
In questa definizione emergono
alcuni aspetti salienti: il
dono, con particolare riferimento
all’oggetto e alla modalità: si offrono tempo
e competenze in modo disinteressato e gratuito;
i
benefici che le persone, i gruppi, la società o l’umanità
ricevono dall’attività svolta dal volontario.
Da alcuni anni si sta assistendo al progressivo consolidamento
dell’idea che il volontariato sia un impegno
fondato oltre che sul pilastro tradizionale
dell’altruismo anche su quello personale dell’appagamento
di bisogni e interessi. Questa visione non
toglie nulla alla purezza e alla grandezza dell’impegno
dei volontari, bensì lo connota di aspetti umani.
Il volontario, quindi, è una persona capace di coniugare
in modo equilibrato le istanze del mondo
esterno con le esigenze personali.
Considerare il volontariato come una strada per
mantenere il proprio benessere bio-psico-socio-spirituale,
contribuisce ad avallare l’ipotesi che fare il
volontario sia una risorsa per lo stesso volontario. Il
termine benessere è utilizzato per indicare una moltitudine
di status, con sfumature di tipo
narcisistico e individualistico.
L’orientamento che si adatta meglio
all’attività del volontario è inscritto
nell’assunzione di responsabilità personale
e nel rispetto dell’altro e della
comunità in cui si vive. Per cogliere
l’ampiezza del concetto di benessere
vengono riportati alcuni aspetti della
scala Psychological well-being scale
(Pwbs) elaborata da Ryff nel 1989:
- auto-accettazione: atteggiamento
positivo verso sé stessi, pertanto
vengono riconosciuti e accettati imolteplici
aspetti di sé;
- relazioni sociali: positive, calorose,
soddisfacenti e basate sulla fiducia,
permeate da empatia, affetto e intimità;
- crescita personale: le persone si
sentono implicate in un processo continuo
di sviluppo, si impegnano a realizzare
le loro potenzialità e sono aperte
a nuove esperienze;
- propositi di vita: hanno obiettivi
da perseguire, principi e valori che attribuiscono
senso all’esistenza; ritengono
che la loro vita presente e passata
abbia significato;
- padronanza dell’ambiente: hanno
competenze e capacità per gestire
l’ambiente; controllano una complessa
gamma di attività esterne; sanno
scegliere o creare contesti adeguati a
necessità e valori personali;
- autonomia: tendono all’autodeterminazione
e all’indipendenza; sono
in grado di resistere alle pressioni
sociali che spingono a pensare e agire
in modo massificato.
Nel 1998 Keys ha integrato la visione
aggiungendo cinque dimensioni
relative al benessere sociale:
- coerenza sociale: la società è valutata
coerente e comprensibile;
- attualizzazione sociale: la società
possiede potenzialità di crescita;
- integrazione sociale: le persone
sentono di appartenere ed essere accettate
dalla comunità in cui vivono;
- accettazione sociale: le persone
accettano la maggior parte degli
aspetti della società;
- contributo sociale: le persone
percepiscono di dare un contributo
alla società.
L’attività di volontariato, quindi, riverbera
i suoi effetti sulla persona e
apporta cambiamenti a livello intrapersonale
e interpersonale. I cambiamenti
indicati dai volontari come
maggiormente significativi riguardano
il modo di essere con gli amici
(67,1%), con i familiari (54,9%) e nell’ambiente
lavorativo (48,1%). L’influenza,
spesso, si estende alla sfera
dell’identità personale e della ricerca
di senso; entrambe, cruciali nell’adolescenza,
vanno costantemente ridefinite
nel tempo per assicurarsi equilibrio
e serenità; il ritocco e l’aggiornamento
dovrebbero accompagnare
l’essere umano per tutta la vita.
L’esperienza di volontariato può
dare il suo contributo con sfumature
che arricchiscono e puntualizzano
l’immagine che ciascuno ha di sé stesso,
in quanto permette di esprimersi,
scambiare idee ed esperienze, sperimentare
la condivisione di valori, stabilire
relazioni significative, assumere
responsabilità e sviluppare il senso di
appartenenza. Pertanto, fare il volontario
può diventare parte dell’identità
personale.
Le ricerche psicologiche e sociologiche
hanno evidenziato che il volontariato
è una realtà composita e la
spinta all’impegno in tale settore è il
risultato di motivazioni e processi particolarmente
complessi.
Sono state individuate due grandi
aree di influenza: fattori individuali;
fattori familiari, comunitari e sociali.
Il mondo motivazionale individuale risulta
essere un impasto armonico di
elementi a volte apparentemente antitetici e non un’ordinata successione
di fattori separati in cui alcuni escludono
altri3. Le motivazioni sono state
classificate e connesse in modo originale
da Yeung, che ha individuato
quattro polarità, attorno alle quali le
motivazioni si aggregano.
- Dare-ricevere, in cui il dare comprende
il desiderio di aiutare i meno
fortunati, di impegnarsi per il bene
comune, di aver sperimentato l’essere
aiutati; il ricevere è legato all’autosoddisfazione,
al benessere personale,
alla possibilità di effettuare esperienza
in un ambiente sicuro. In tale
continuum fare il volontario può risultare
un’attività che ha diverse funzioni:
a) poter vivere il senso di responsabilità
verso la comunità; b) mettere a
disposizione le proprie risorse; c) essere
riconosciuti, accolti e rispettati; d)
proteggere l’Io dagli aspetti negativi,
quali, per esempio, il senso di colpa
che nasce dalla consapevolezza di essere
più fortunati di altri e da conflitti
interni relativi al proprio valore e alle
proprie capacità; può aiutare ad affrontare
i problemi personali, grazie
allo spostamento dell’attenzione su
persone in stato di bisogno che si trovano
in situazioni peggiori e traggono
benefici dall’operato del volontario;
e) favorire lo sviluppo della propria
personalità; g) aumentare le opportunità
di entrare nel mondo del lavoro
e realizzare alcuni cambiamenti; partecipare
alle attività di volontariato è
un elemento qualificante del proprio
curriculum, in quanto, come emerge
da alcune ricerche, il volontario è considerato
migliore di chi non è impegnato
ed è da ammirare; inoltre sottende
“buone qualità” come l’essere
affidabile, onesto e disponibile.
- Continuità-novità: il primo termine
è permeato dall’esigenza di trovare
affinità di ideali o di competenze,
mentre il secondo è caratterizzato
dal desiderio di cambiare e poter vivere
esperienze nuove. Anche in questo
contesto è possibile individuare varie
funzioni: a) esprimere e condividere
ideali religiosi, politici e morali, tra
cui l’essere accanto agli ultimi, a coloro
che hanno affinità culturali, quali,
per esempio, l’amore per l’arte che
porta a proteggere il patrimonio artistico
e a diffonderlo; vivere il senso di
responsabilità verso la comunità, dal
nucleo più piccolo, la famiglia, all’umanità
intera; b) confrontare, assimilare
e rielaborare valori e cultura;
c) accrescere, affinare, apprendere
nuove competenze e abilità in ambito
professionale, culturale e sociale; d)
ampliare la rete dei rapporti sociali: è
possibile aumentare il numero delle
persone con cui si stabiliscono rapporti
di conoscenza, collaborazione, amicizia
e, contemporaneamente, sedimentare
la stabilità, la positività e la
profondità delle stesse relazioni.
Viene, così, favorito lo sviluppo del
senso di appartenenza al gruppo e
della fiducia sociale, aspetti poco diffusi
nella società contemporanea pervasa
da instabilità, precarietà e mutamenti
rapidissimi.
- Distanza-prossimità: il volontario
può scegliere di impegnarsi in
due tipologie di situazioni; una prevede
una relazione stretta e continua
con il destinatario dell’intervento, l’altra
una relazione senza un contatto diretto,
come avviene nelle attività di
progettazione oppure di coordinamento
e supervisione dell’operato
dei gruppi. Le funzioni possono essere:
a) sentirsi utili e scoprire il senso
del proprio operare, anche se realizzato
nel distanziamento; b) sperimentare
la positività della prossimità con il
“diverso”; c) prendere una tregua in
una vita densa di relazioni strette.
- Riflessività-prassi: la riflessività
è intesa come elemento che opera
una mediazione tra la struttura e l’agire
personale e la funzione è quella di
tutelare la coerenza intra-psichica e
sociale. Nella polarità della prassi è
privilegiata l’azione, la cui funzione è
conciliare l’impegno volontario con
flessibilità e certezza del tempo; la
scelta è orientata verso progetti a breve-
medio termine. Studi e ricerche
hanno registrato la fluttuazione di
motivazioni nel tempo e all’interno
della stessa persona7, pertanto la persona
può spostarsi avvicinandosi o allontanandosi
dalle polarità, oltre che
modificare i punti di intersezione.
Una conseguenza è che le motivazioni
incorporate nella propria storia
e a seguito dell’esperienza con i beneficiari,
gli altri volontari e la struttura
di riferimento, possono variare e gli
scenari divengono innumerevoli: dal
continuare a fare il volontario a interrompere,
dal cambiare struttura all’intraprendere
l’esperienza in altri campi
d’intervento.
La famiglia è uno dei luoghi in cui
la scelta di intraprendere e continuare
a svolgere attività come volontari
può essere favorita oppure ostacolata:
il dato emerge da alcune ricerche che
si sono occupate dell’influenza degli
stili e delle pratiche educative della famiglia
di origine sulla scelta dei giovani
di fare volontariato8. Tra le condizioni
favorenti segnaliamo:
- l’esistenza di affinità tra famiglia
e mondo del volontariato; particolarmente
influenti sembrano essere le
proprietà relazionali che dovrebbero
permeare entrambi i gruppi: dono, reciprocità
e fiducia;
- il radicamento della famiglia nella
comunità;
- il patrimonio di rapporti sociali
solidi e positivi.
Risulta, invece, ostacolante un’eccessiva
sollecitazione a intraprendere
tale esperienza, in quanto assumerebbe
i contorni di oppressione sociale.
La famiglia, in ogni caso, dovrebbe
essere supportata dalle altre istituzioni
educativo-culturali con le quali condivide
e persegue obiettivi comuni:
contribuire alla crescita di giovani responsabili,
solidali e inclini all’impegno
per il bene sociale. È necessario
che fin dall’infanzia l’essere umano
respiri un clima prosociale, viva avvolto
dalla cultura della solidarietà, abbia dei validi modelli di riferimento e
maturi la capacità di operare scelte
consapevoli, compresa quella di diventare
volontario.
Di pari passo con
l’azione educativa andrebbe promossa
l’azione legislativa, fondamentale
per il riconoscimento a livello istituzionale
del valore sociale del volontariato
e per agevolarne l’azione, l’organizzazione
e la diffusione.
Le associazioni di volontariato si devono
occupare, per la loro stessa sopravvivenza,
anche di mantenere nel
tempo i volontari e di trovarne nuovi.
Concorrono all’adempimento di questi
delicati compiti la comunicazione
esterna, lo stile di governo dell’organizzazione,
la capacità di creare una
“squadra”, la formazione, la verifica e
la selezione. Può sembrare inappropriato
pensare di selezionare i volontari;
accade, però, che si sperimentino
incomprensioni, si verifichino demotivazione
e abbandoni. Tra le molteplici
cause alcune sono da ricercare
nella discrepanza tra organizzazione
e singolo volontario su più fronti: le finalità,
le esigenze, il modo di essere
volontario. Molte organizzazioni intervengono
nel momento in cui si verificano
le difficoltà, ma spesso è tardi
e l’impegno nella ricostruzione di un
clima sereno e collaborativo diventa
gravoso e temporalmente lungo.
La selezione potrebbe essere uno
strumento per tutelare tutti i soggetti
coinvolti: l’associazione, il volontario
e i beneficiari. È doveroso non “cestinare”
alcun aspirante; in alcuni casi è
necessario aiutarlo a prendere coscienza
che dietro al desiderio di fare
il volontario ci sono difficoltà personali
che devono essere risolte prima di
dedicarsi a tale attività; in altri casi è
opportuno sollecitare il riorientamento
della scelta; per attuare questo tipo
di accompagnamento è importante
avere a disposizione una rete di associazioni,
che permette di proporre alle
persone alternative a loro più consone.
In concreto, la selezione sul versante
del volontario permette di:
- delinearne l’identità, attraverso
la mappatura dei valori, l’approfondimento
di alcuni tratti personologici,
quali la coerenza e la serietà, l’analisi
delle competenze conoscitive, professionali,
relazionali, operative specifiche
richieste dal servizio da prestare;
- analizzare le motivazioni, sane o
patologiche, adeguate o inadeguate
rispetto al tipo di attività da svolgere e
alle situazioni in cui si opera;
- sondare la capacità di valutare sé
stesso, il proprio operato e saper lavorare
in gruppo.
Sul versante dell’associazione la selezione
permette di:
- elaborare un progetto di accoglienza
che dovrebbe favorire il mantenimento
dei volontari al proprio interno;
- accogliere “il nuovo compatibile”
che permetterebbe di armonizzare le
proprie istanze con quelle dei volontari
e, quindi, incentiverebbe il rinnovamento,
il miglioramento e la crescita.
La selezione, infine, supporta la
scelta reciproca: il volontario sceglie
l’organizzazione e questa, a sua volta,
sceglie il volontario. Il punto di partenza
del processo di
selezione potrebbe essere
la richiesta di
un’autobiografia. È
uno strumento per iniziare
a conoscere l’essere
umano a cui ci
stiamo accostando. La
scelta della forma
espressiva, della modalità,
degli eventi raccontati
e di quelli
esclusi, può rivelare la
filosofia di vita della
persona, i suoi ideali e
la sua concezione del
mondo. L’autobiografia è fondamentale
anche per la costruzione della relazione,
in quanto incontrarsi empaticamente
nella vita dell’altro può diventare
la pietra angolare del rapporto
tra l’Io e il Tu. Si crea un clima sereno,
collaborativo e costruttivo.
Dopo aver presentato i tratti essenziali
che accompagnano la figura del
volontario e dell’impegno a cui è chiamato,
appare utile tracciare una linea
conclusiva. In primo luogo, fare volontariato
può aiutarci a non perdere
il senso della vita, sia nelle situazioni
di difficoltà che nei momenti di gioia
e felicità, a tenere lontano le paure ancestrali
del nulla e della temporalità
segnata dalla morte assoluta. Fare il
volontario rinfranca l’idea che il bene
esiste, nonostante situazioni particolari
contribuiscono a offuscarlo e a farne
perdere le tracce nelle persone e
nella realtà.
Fare il volontario può portarci tra gli intimi sentieri dell’animo umano,
quelli delle emozioni e dei sentimenti
personali che ci accomunano, perché
radicati nell’universalità del bisogno
di amare, essere amati e riconosciuti.
L’amore che dovrebbe avvolgere la
nostra vita, in quanto suo principio e
finalità; si nasce da un
atto d’amore, si vive
cercando e ricambiando
amore, si muore
nella speranza di continuare
a vivere nel ricordo,
nei gesti, nelle
parole, negli atteggiamenti
di chi abbiamo
amato e di chi ci ha
amato; i credenti
muoiono nella speranza
di ricongiungersi al
Padre nella dimensione
eterna dell’Amore.
Le parole di san Paolo
tracciano i lineamenti dell’amore nell’espressione
più alta della carità: «La
carità è paziente, è benefica; la carità
non è astiosa, non è insolente, non si
gonfia; non è ambiziosa, non cerca il
proprio interesse, non si muove ad
ira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia
ma fa suo il godimento della
verità; a tutto s’accomoda, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta».
Carità che se sostanzia anche il volontario
e il suo operato, lo può aiutare
a contenere i propri difetti, le proprie
debolezze e accrescere le parti
migliori di sé.