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lunedì 14 ottobre 2024
 
 

Un silenzio colpevole

01/10/2012  La violenza agita nei confronti delle donne anziane, pur risultando una piaga sociale ancora troppo poco conosciuta, sta assumendo oggi forme e frequenze sempre più preoccupanti.

La violenza agita nei confronti delle donne anziane, pur risultando una piaga sociale ancora troppo poco conosciuta, sta assumendo oggi forme e frequenze sempre più preoccupanti. Una recente ricerca dimostra l’entità di questo fenomeno in parte sommerso, e prova a tracciare linee di buone pratiche a riguardo.

Il progetto “STOP VI.E.W” (Stop alla violenza nei confronti delle donne anziane) è un progetto triennale promosso da Auser regionale Lombardia e finanziato dal Programma europeo DAPHNE (finanziamenti contro la violenza nei confronti di donne, giovani e bambini), per affrontare, all’interno di un gruppo di partner europei, il fenomeno delle violenze contro le donne anziane over 65. I partner del progetto sono: Auser regionale Lombardia (ente capofila) e Regione Lombardia (Direzione Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale) in Italia, ANJAF in Portogallo, UNAF in Spagna, ZDUS in Slovenia, CNIDFF in Francia e BGRF in Bulgaria.

Per Auser regionale Lombardia l’attenzione al tema della violenza alle donne anziane inizia nel 2010 con un progetto a carattere nazionale che trova oggi la sua continuità in questa opportunità che permetterà di ampliare il campo di osservazione e di intervento. La diffusa rete di telefonia sociale “Filo d’Argento” che Auser organizza a livello territoriale, e la numerosità dei servizi erogati a livello locale rappresentano un grande potenziale per raccogliere e osservare bisogni, accogliere richieste di ascolto e aiuto espresse dalle persone anziane, tra cui le donne sono la gran parte.

Milioni di donne di tutte le età e classi sociali subiscono ogni giorno abusi di tipo sessuale, fisico, psicologico ed economico che si consumano non solo in contesti esterni ma soprattutto in ambito domestico a opera di partner, familiari e conoscenti. Tra queste, molte sono donne anziane che, a causa della loro maggiore dipendenza e fragilità individuale e sociale, sono sempre più esposte ai rischi di maltrattamento e negligenza, ricatto e abbandono, insicurezza e costrizione, sia in famiglia sia nelle strutture di ricovero.

Il tema è di grande complessità e delicatezza: gli abusi contro le donne anziane costituiscono ancora un tabù sociale e culturale all’interno di un “colpevole silenzio” che facilmente avvolge la violenza contro le donne, ancor di più se anziane. Sono violenze e maltrattamenti fisici e morali, abusi economici, truffe, raggiri: fenomeni ancora poco indagati nonostante studi a livello internazionale confermino la loro significativa crescita all’interno delle nostre società. Gli obiettivi specifici del progetto sono: portare alla luce queste realtà, le motivazioni che ne stanno alla base e le pesanti conseguenze che producono. Costruire reti di solidarietà che creino un sostegno più adeguato alle donne per uscire dalla solitudine, dalla paura e dall’impotenza. Contemporaneamente le organizzazioni sociali e le istituzioni saranno chiamate ad assumere nuove responsabilità e a mettere in campo misure più efficaci di tutela e protezione che prevengano e contrastino la violenza contro le donne anziane.

Un recente articolo del New York Times evidenzia come il fenomeno della violenza contro le donne nei Paesi Scandinavi, generalmente noti come Stati egualitari, ai primi posti nelle classifiche mondiali sull’eguaglianza di genere, sia diffuso e presenti le stesse caratteristiche delle società più squilibrate: rimane un tabù, scarsamente denunciato, che si nasconde fra antichi pregiudizi sulle prerogative maschili e nuove consapevolezze dell’emancipazione femminile. Sappiamo bene, anche per l’esperienza del nostro Paese, come il tema della violenza di genere abbia trovato adeguate attenzioni solo in tempi recenti, sia sul piano teorico sia su quello delle politiche pubbliche di contrasto. Se da un lato numerose ricerche, finanziate anche da organismi comunitari e piani nazionali, ci consentono oggi di fare chiarezza sui soggetti coinvolti, le responsabilità dei contesti sociali, politici e culturali in cui identità, relazioni e ruoli maschili e femminili si definiscono lungo linee di reciprocità ma su un terreno di squilibri e diseguaglianze, dall’altro, i processi di modernizzazione delle nostre società modificano lo scenario entro cui le relazioni di genere si definiscono.

Il processo di invecchiamento sociale è uno degli aspetti che stanno trasformando il nostro Paese, con caratteristiche che hanno ripercussioni molto diverse fra i generi ed entro lo stesso genere, fra coorti di età e fasi della vita: aumento della popolazione anziana e prolungamento della dipendenza, riduzione dell’ampiezza e della forza delle reti familiari e scarso sostegno pubblico. In linea con la letteratura mondiale che guarda alla vecchiaia come a un processo che dura tutta la vita, non meccanicamente determinata da fattori biologici o da cause esogene, ma soprattutto come una scelta, l’Istituto di Statistica italiano ha dedicato uno studio specifico all’analisi delle donne anziane, dato che lo spostamento in avanti dei tempi di vita ha riguardato soprattutto loro.

Dei circa 10 milioni e 600 mila individui con più di 65 anni (censimento 2001) le donne ne rappresentano più della metà (6 milioni e 85 mila), e tale proporzione cresce all’aumentare dell’età fino a raggiungere il 67% tra le persone di 80 e più anni. Nel nostro Paese, gli anziani e le anziane vivono fondamentalmente in famiglia.

La maggioranza delle donne di 65-69 anni che vive in famiglia, è coniugata convivente con il marito (63%), mentre dopo i 70 anni è la quota di vedove quella maggioritaria: fra 70 e 75 anni, il 55% delle donne è vedova, dopo gli 80 anni il 77%. La maggiore speranza di vita femminile e un’età al matrimonio mediamente più bassa rende le probabilità di vedovanza più alte per le donne: nell’età anziana vivono più spesso da sole (oltre 2 milioni contro i 600 mila degli uomini), in famiglie senza nuclei (con sorelle o fratelli), o come membri aggregati a un’altra famiglia (del figlio o della figlia, per esempio); al contrario, gli uomini vivono più frequentemente in coppia con e senza figli.

Seppur molte anziane vivano da sole, sono al centro di reti familiari, e l’inti mità a distanza fra loro e i figli caratterizza la vita delle donne nell’ultima fase della vita: rapporti quasi quotidiani con i figli e le figlie (il 54% vede i figli tutti i giorni), contatti frequenti con fratelli e sorelle (il 45% vede i fratelli almeno una volta alla settimana), e un ruolo fondamentale di cura dei nipoti (il 71% delle anziane è nonna di circa 4,3 nipoti).

La maggioranza delle donne anziane in Italia ha conseguito al massimo la licenza elementare, con valori crescenti in relazione alla classe di età: il 70% delle donne fra i 65 e i 69 anni, il 75% fra quelle fra i 70 e i 74 anni, l’83% di coloro che sono over 80. La situazione sta comunque migliorando e la dinamica proseguirà nei prossimi decenni quando diventeranno anziane le donne del baby boom, protagoniste dell’accesso di massa all’istruzione secondaria. La generazione che ha oggi fra i 45 e i 49 anni e sarà anziana fra 20 anni, ha un diploma o la laurea nel 44% dei casi.

Le donne oggi anziane sono un mondo molto variegato e differenziato: donne che hanno trascorso la loro esistenza orientate da modelli di una società patriarcale e pratiche di innovazione conseguenti alla rivoluzione femminista. Il loro processo di invecchiamento le espone a una sorta di doppia vulnerabilità in cui il fattore età e il genere agiscono da amplificatori di fattori di debolezza e da catalizzatori di forme di violenza sia simbolica sia reale.

È quanto sta emergendo in numerose ricerche a livello internazionale, come quella dell’Organizzazione mondiale della Sanità, e da specifici progetti dei Programmi DAPHNE dell’Unione europea, che vogliono richiamare l’attenzione di tutti gli Stati sui rischi di abusi, maltrattamenti e violenze connessi al processo d’invecchiamento e alle conseguenze specifiche per donne e uomini in relazione ai differenti ruoli che hanno avuto nel corso della loro vita.

La definizione di abuso e maltrattamento, proposta dall’OMS (2002) è la seguente: «Un’azione singola o ripetuta o mancanza di cure appropriate che avvengono in una relazione nella quale vi è un’aspettativa di fiducia e che causa ferite, sofferenze e stress nella persona anziana. Può assumere varie forme: abusi fisici, mentali, psicologici, sessuali, economici e finanziari ». Secondo i dati disponibili, le vittime di abusi psicologici sono in Europa circa 20 milioni di persone anziane, di abusi di carattere economico-finanziario circa 6 milioni, di abusi fisici 4 milioni, di abusi sessuali un milione.

I rischi di maltrattamento sono molto alti per le persone anziane e le donne nello specifico: sono il risultato di una complessa interazione fra aspetti individuali, relazionali, sociali, culturali e ambientali. Tuttavia, l’esatta entità del fenomeno è ancora largamente occulta e con scarsa eco nel dibattito sociale.

Per diversi aspetti le donne italiane, anche molto anziane risultano attive nella rete familiare, centrali nei flussi di scambio fra le generazioni, presenti nelle attività di volontariato, tratteggiando i contorni di un’età anziana più disponibile a fornire piuttosto che a ricevere aiuto; altre si trovano a fronteggiare una scarsità di offerte di cura quando ne hanno bisogno.

Sono mediamente poco scolarizzate, caratteristica che non sarà prevalente in coloro che saranno in quelle classi di età fra vent’anni; hanno aspettative di vita maggiori ma anche più anni di vita afflitti da disabilità rispetto agli uomini (5 anni con gravi disabilità rispetto ai 2 degli uomini). Presentano un reddito molto più basso di quello degli uomini; inoltre, le abitazioni delle donne anziane italiane sono molto modeste e spesso più insoddisfacenti di quelle degli uomini anziani.

Perché, come scrivono Sgritta e Deriu, in una indagine su un campione rappresentativo della popolazione italiana, «non si riesce a venire a capo delle violenze rivolte alle persone anziane?». Essenzialmente perché si tratta di aspetti legati alla vita quotidiana, a situazioni ordinarie, in famiglia e quindi rientrano in quella sfera del privato che solo la ricerca delle donne ha saputo svelare come non estraneo alle regole sociali.

In Italia non disponiamo ancora di un quadro preciso del fenomeno della violenza contro le persone anziane e le donne nello specifico: solo l’ultima indagine Istat rompe la consuetudine di legare rischiosità a giovane età con un’estensione del campione a donne fino a 70 anni, nell’indagine del 2006 (che andrebbe ulteriormente ampliato). Tuttavia vi sono diverse fonti indirette, di natura istituzionale e provenienti dal patrimonio dell’associazionismo femminile (centri anti violenza e Casa delle donne), che delineano il fenomeno come diffuso e in continua espansione (condotte attive ma anche omissive) in relazione a diverse cause e variabili. Limitazioni, maltrattamenti e forme di esclusione nelle condizioni di vita femminile anziana trovano molti silenzi e reticenze nella rappresentazione sociale e nelle culture professionali ancora intrise di stereotipi di genere, di pregiudizi sulla vecchiaia e, data la scarsità di risorse pubbliche, di forti obbligazioni familiari. In conclusione, riportiamo le riflessioni e le raccomandazioni emerse dall’indagine realizzata nel progetto che ha molti elementi in comune con i risultati emersi dalle ricerche condotte negli altri cinque Paesi europei partner di progetto.

Attraverso la prospettiva di genere si mette in evidenza che la violenza nei confronti delle donne avviene per la semplice ragione di essere donne. Nell’essere considerate dai loro aggressori con minimi o nessun diritto alla libertà, al rispetto e all’autonomia decisionale. Pertanto le donne anziane sono un gruppo vulnerabile perché hanno più difficoltà nel difendersi, nel chiedere aiuto, meno consapevoli dei loro diritti e spesso molto spaventate da progettare una vita lontane da chi le aggredisce frequentemente. Sono anche poco consapevoli di che cosa sia la violenza, dal momento che hanno spesso considerato il maltrattamento dei familiari come una modalità relazionale, proprio in quanto donne.

Ci sono tre importanti trend che dovrebbero essere considerati:

La violenza di genere ha ricevuto adeguate attenzioni solo recentemente, sia sul piano teorico sia su quello delle politiche pubbliche volte a comprenderne la diffusione e il significato delle ripercussioni sociali, economiche e di salute. Mancano ancora sufficienti informazioni per cogliere le sofferenze personali che procura e le misure più adeguate a contrastare la discriminazione uomo-donna che causano e spesso legittimano tale violenza.

Il rischio che la recessione economica e i tagli alle politiche di Welfare aumentino la pressione economica sulle famiglie incrementando il rischio della vulnerabilità delle persone anziane e con esso il rischio di maltrattamento.

Le diseguaglianze sociali possono aumentare le discriminazioni di genere anche tra le persone anziane causando differenti tipi di violenze.

Possiamo contribuire ad aumentare la consapevolezza sul fenomeno del maltrattamento nei confronti delle persone anziane e della violenza contro le donne in particolare adottando due prospettive interdipendenti:

A livello individuale “l’approccio del corso di vita”: esso richiama l’attenzione sul modo in cui scelte, decisioni e comportamenti dei primi anni di vita portano ripercussioni per la salute e il benessere anche negli anni successivi.

A livello sociale “una prospettiva ecologica”, perché investire in sicurezza è una responsabilità sociale. Risposte adeguate a contrastare la violenza devono coinvolgere un largo numero di attori, connettere la sicurezza fisica all’ambiente sociale, declinare i diritti in termini di giustizia sociale e di pari opportunità. È necessario dare visibilità ai problemi e ai bisogni delle donne anziane, riconoscere le specifiche caratteristiche delle domande di aiuto delle donne che soffrono di violenza, cogliere le implicazioni del fenomeno nei loro comportamenti e qualificare la capacità dei servizi pubblici e privati di rispondere alle loro necessità.

Le risposte alle vittime di violenza dovrebbero essere mirate alle caratteristiche di età e di condizione delle persone. I servizi di assistenza dovrebbero essere più personalizzati al fine di fornire risposte tempestive atte a prevenire maltrattamenti e abusi. Uno degli obiettivi delle politiche pubbliche dovrebbe essere la creazione di network formali e informali che evitino l’isolamento della persona anziana, che è uno dei principali fattori di rischio per abusi e maltrattamenti. In questa direzione le associazioni locali dovrebbero rafforzare il proprio ruolo di agenti di mediazione, supporto e aiuto sociale.

Per prevenire le varie forme di abuso nelle persone anziane è quindi necessario promuovere sforzi coordinati e multidisciplinari in differenti settori, al fine di promuovere risposte di protezione e di resilienza dei soggetti anziani. Coloro che si prendono cura delle persone anziane, sia nei servizi pubblici sia nella sfera domestica, dovrebbero essere supportati, attraverso adeguati programmi di formazione, a evitare il rischio di sovraccarico che può influenzare in modo negativo la loro relazione con la persona assistita.

Educazione e formazione rivolte al personale impiegato nelle strutture riabilitative, sono essenziali per garantire risposte di cura adeguate e sempre più personalizzate. Questo potrebbe essere ottenuto inserendo la tematica dell’abuso nell’età anziana e dei modi per prevenirlo nel Curriculum Vitae degli operatori professionali in ambito sanitario, educativo, sociale e giuridico.

 
 
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