Quanto valga il potere di interdizione dei tassisti in Italia lo dimostra la manifestazione romana di oggi, in concomitanza con la discussione alla Camera del decreto Milleproroghe contenente una (timida) deregulation del settore. La paralisi dura da una settimana con tutte le conseguenze del caso. A torto o ragione? Come spesso succede, la verità sta nel mezzo.

La storia parte da lontano.La guerra dei tassisti (titillati e blanditi dalla sindaca Raggi come un gatto che va accarezzato per il verso giusto) per difendere il valore delle proprie licenze va avanti da almeno dieci anni. I tassisti sono una delle principali vittime della globalizzazione,che significa delocalizzazione, innovazione tecnologica, superamento dei confini nazionali, delle vecchie regole e delle vecchie rendite di posizione. I “nemici pubblici” dei tassisti e delle loro licenze sono sostanzialmente due: i conducenti delle auto a noleggio e Uber. Come tutti sanno le circa 80 mila vetture a noleggio con guidatore presenti in Italia offrono un servizio molto concorrenziale. Si dividono insieme ai 40 mila tassisti italiani e un imprecisato numero di tassisti “clandestini” di Uber una torta da due miliardi di euro annui.

 

Chi di noi non è stato avvicinato alla stazione o all’aeroporto da un tassista clandestino che offriva un trasporto “con ricevuta (falsa)”? Ebbene ora questo piccolo esercito clandestino ha imparato il modo di trovare una sorta di marchio, di “brand” di garanzia.
I tassisti si aspettano alcune norme che limitano i servizi di noleggio, accusati di essere incontrollati e spesso abusivi e dunque di proporre prezzi stracciati in presenza di meno oneri e di meno vincoli. Da qualche anno si è inserito come un Tir dentro un vicoletto a senso unico in questo mercato anche Uber, il nemico più temuto dei tassisti. Il progresso, spesso, livella gli uomini e le imprese. Se una multinazionale con sede a San Francisco con una semplicissima applicazione digitale disponibile su tutti gli smartphone offre servizi di trasporto pubblico attraverso una rete di autisti che,come si legge sul sito dell’applicazione, “possono guidare in qualsiasi momento, giorno e  notte, 365 giorni l’anno” senza alcun vincolo e senza troppi obblighi fiscali o di licenza, è chiaro che il problema diventa quasi insormontabile.

Il tassista che ha acquistato una licenza, indebitandosi con un mutuo o spendendo i risparmi di una vita, è fortemente svantaggiato e rischia notevolmente di vedersi abbassare il proprio reddito. Fino, nel caso estremo, alla “proletarizzazione” della categoria, come avviene ad esempio a New York, dove i “taxi driver”, in maggior parte immigrati extracomunitari, guadagnano molto meno dei loro colleghi europei. Vi è poi il sistema del "car sharing", sempre più organizzato ed efficiente, che sta strappando altri potenziali clienti ai tassisti. Davvero pensano di continuare a fermare il progresso a suon di manifestazioni?
A fianco alle giuste rivendicazioni dei tassisti ci sono però anche i diritti dei clienti a vedersi abbassare le tariffe in virtù della concorrenza di mercato. Perché un conto sono i diritti di categoria e un conto i privilegi di una casta. E’ questa la strada stretta in cui deve passare il Governo. Per il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, "il fatto di aumentare la concorrenza nel settore dei servizi aumenta la capacità di crescita; certo bisogna farlo garantendo una transizione soffice ai settori che vengono interessati dalle privatizzazioni". Transizione soffice. Potrebbe essere la strada. Come avverrà? E’ quello che vedremo. Di certo finora il Governo,in tutti questi anni, dalle famose “lenzuolate” di liberalizzazioni di Bersani, nel 2006, ha sempre scelto di non decidere. Che sia la volta buona?