«Di Bachelet credo rimanga l’idea del grande valore della responsabilità dei cittadini, sia in ambito sociale e civile che ecclesiale». Matteo Truffelli, oggi alla guida dell’Azione cattolica italiana, ricorda le parole chiave che caratterizzano il presidente della scelta religiosa e del nuovo statuto dell’associazione, approvato nel 1969.
La prima è responsabilità?
«Si, responsabilità dei cittadini, ma anche degli organi dello Stato, della magistratura di cui lui si occupava, chiamati a contribuire alla vita democratica del Paese, delle forze politiche. E poi, di lui, credo che rimanga il grande senso dell’impegno per il bene possibile, quello storicamente realizzabile. Una traduzione concreta nella storia degli ideali, dei valori a cui ci si ispira. Questo è legato anche alla sua lezione sul piano ecclesiale. Rimane di lui, dopo 40 anni, il senso di una fede tanto semplice quanto incarnata nella storia e quindi anche fedele alla Chiesa del proprio tempo. Bachelet è stato l’uomo che più di tutti si è speso perché in Italia si realizzasse la Chiesa del Concilio, attraverso una Aci da ripensare a fondo proprio per fare dell’associazione lo strumento della Chiesa per questa attuazione»..
Qualcuno ha interpretato la scelta religiosa come ripiegamento su se stessi.
«Un equivoco di cui Bachelet era consapevole. L’espressione, lui diceva, era “infelice, ma non ne abbiamo trovata una migliore”. In realtà non è mai stata pensata come un ritiro dalla storia, non è mai stata neppure realizzata dall’Aci come un ritiro dalla storia. Era invece un entrare più in profondità nella storia, un chiedersi di che cosa il nostro tempo avesse bisogno per essere trasformato e diventare un tempo più umano cioè un tempo più impastato di Vangelo. La scelta religiosa è fondamentalmente questo: il desiderio di mettere il seme del Vangelo più a fondo nelle zolle della storia, nelle zolle del nostro tempo».
Resta famosa la sua espressione, al termine della seconda assemblea, in cui parlava degli egoismi mostruosi che stroncano la vita e del supplemento di amore con cui sconfiggere la violenza. Oggi sarebbe tacciato di buonismo? E cosa risponderebbe?
«È sempre difficile cosa avrebbe detto qualcuno che non c’è più. Però penso che risponderebbe che essere buoni è una cosa giusta. Bachelet era un uomo che credeva molto nell’umanità, nell’appartenenza all’unica famiglia umana. Da questo punto di vista era un uomo di Giovanni XXIII, di Paolo VI. Era un uomo a cui piaceva molto andare a cercare i semi di vangelo nelle altre culture, nelle altre religioni, nelle altre credenze, nelle altre confessioni. Basta dire che uno dei suoi punti di riferimento era il pastore protestante Martin Luther King. Il lui c’è il grande senso della necessità di formarsi al valore della storia, alla consapevolezza che la storia è storia della salvezza e che proprio per questo chiede un contributo responsabile di ciascuno e corresponsabile di tutti. Questo Bachelet lo diceva già nell’immediato dopoguerra e poi, sempre in quel periodo, parlava della grande apertura al confronto con le diverse posizioni, con chi non la pensa come te. All’indomani delle elezioni del 48 che avevano diviso in due l’Italia, scrive: “Noi dobbiamo essere amici di tutti”. Anticipa, per certi versi Giovanni XXIII quando il Papa dirà bisogna distinguere tra l’errore e gli erranti».
E dal punto di vista ecclesiale?
«Lui è l’uomo della corresponsabilità laicale e del senso della unità tra e generazioni. L’idea è di camminare insieme adulti e giovani, bambini, uomini e donne, laici e preti, di fare dell’Aci una realtà unitaria per realizzare questa esperienza che oggi abbiamo imparato a chiamare sinodale».
Qual era il tratto essenziale di Bachelet?
«Oltre alla responsabilità la mitezza. La mitezza come coraggio, non come arrendevolezza. Era il tratto principale del suo profilo. Una mitezza come vera forma di coraggio e addirittura come forma di lotta».
Come ti piacerebbe che fosse ricordato?
«Come l’uomo che si è dato alle istituzioni repubblicane in tutte le sue dimensioni, in quella dell’impegno per lo studio, dell’approfondimento della Costituzione, dell’impegno civile e politico e in quello del servizio allo Stato. Bachelet ha saputo mettersi a servizio anche delle istituzioni ecclesiali e ha sempre vissuto questo servizio alle istituzioni non come qualcosa che ti mortifica, ma che invece ti consente di mettere a disposizione i tuoi talenti perché sapeva che le istituzioni, sia quelle ecclesiali che quelle civili sono la casa di tutti».